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La cura Mustier per i legami perversi banche-immobiliaristi
Negli anni il sistema creditizio ha intessuto rapporti malsani con pochi privilegiati imprenditori. Adesso, se vuole salvarsi, deve presentarsi con facce nuove, credibili e preparate. Seguendo la rotta intrapresa da Unicredit.
Era il 17 febbraio 1992 quando a Milano fu arrestato il presidente del Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa, mentre riceveva una tangente di 7 milioni di lire. Sembrò un avvenimento come tanti altri, e invece fu l’inizio di quel ciclone chiamato Tangentopoli che in un paio d’anni spazzò via la cosiddetta Prima Repubblica e un’intera classe politica. Non solo: fu anche un momento determinante per le sorti di centinaia di imprese operanti in quei settori che, collusi o conniventi con la politica per l’attribuzione di appalti pubblici, diventarono “a rischio” per la inevitabile drastica riduzione dei loro fatturati. Il settore di attività economica più colpito fu quello immobiliare o anche delle “costruzioni” che oggi vale circa il 6% del Pil e che nel periodo 1991-2012 ha visto una riduzione degli investimenti di oltre il 6% in termini reali, a fronte di una riduzione del Pil del 1,4%, sempre in termini reali.
LE BANCHE CAMBIANO REGISTRO. Il sistema bancario, sempre attento ai cambiamenti nello scenario macro/micro economico che possano essere rilevanti sull’evoluzione del portafogli impieghi e sulla sua rischiosità, ne prese immediatamente atto e adeguò il proprio indirizzo di politica creditizia. In particolare Unicredit dettò direttive precise alla sua rete: in linea generale niente prestiti alle imprese di costruzioni e agli immobiliaristi e, solo laddove necessario, attribuzione agli organi deliberanti di Direzione generale delle competenze deliberative per la concessione, i rinnovi e gli sconfinamenti in materia di linee di credito a favore di clientela appartenente alla categoria “Edilizia e opere pubbliche” identificata con l’indimenticabile codice RAE 066 (i codici RAE/SAE sono utilizzati dal sistema delle banche italiane per classificare le imprese in relazione all’attività economica svolta). In altri termini, venivano sottratte le facoltà deliberative alla rete degli sportelli e delle filiali e solo gli organi di Direzione generale potevano (e possono) accordare eccezionalmente agevolazioni creditizie ai costruttori e immobiliaristi.
CONSAPEVOLEZZA DEL RISCHIO. A ciò si aggiunga che è solo di pertinenza della Direzione generale della banca la competenza deliberativa per proposte di fido (concessione, rinnovo e sconfinamenti) nei confronti di quei “clienti grandi”, intendendo per tali quei singoli clienti o gruppi economici che fruiscono di linee di credito di qualsiasi natura di importo complessivo superiore a 37,5 milioni di euro a livello di gruppo bancario e/o comunque eccedente il 10% del patrimonio di vigilanza della banca. Tali disposizioni, proprio per il rischio di settore che ha sempre destato preoccupazione, non furono derogate neppure quando il periodo di profonda crisi strutturale del settore delle costruzioni ebbe un’inversione di tendenza a partire dal 1999, con l’inizio di una fase espansiva che durò fino al 2007. Dal 1999 al 2007 gli investimenti in costruzioni infatti sono cresciuti del 27,1%, un tasso doppio rispetto a quello del prodotto interno lordo (+13,5%). Quindi nel sistema bancario c’era piena consapevolezza degli elevati rischi insiti nella concessione di prestiti a imprese del settore delle costruzioni, tra l’altro già manifestanti profondi segnali di crisi.
Non andiamo quindi a cercare responsabilità altrove. Chi ha deciso di finanziare quei pochi e determinati soggetti del panorama economico italiano non è il povero direttore di filiale o di area ma i top manager e i componenti dei consigli di amministrazione. E tra quei privilegiati di Unicredit c’è Vittorio Casale, l’immobiliarista rosso (o meglio dalemiano) a cui fa capo una galassia di società e che avrebbe un’esposizione verso le banche di oltre 700 milioni di euro. Le banche più esposte? Unicredit, Banca Marche e Unipol. Lacrime di coccodrillo per i tre istituti di credito. Ma se per il contenzioso con Unipol è possibile immaginare che valesse la pena correre il rischio per un endorsement dei vertici del Pd, è invece quantomeno suggestivo pensare che per quelli di Unicredit e Banca Marche il pianto comune possa essere associato alla figura di un banchiere che, ironia della sorte, ha avuto un ruolo di vertice in entrambe le banche: Massimo Bianconi.
IL CASO BIANCONI. Era l’aprile del 2004 quando Bianconi, classe 1954, rampante banchiere di Norcia, entrò nella direzione di Banca Marche. Il nuovo capo azienda, una carriera costruita in vari istituti (Banco Santo Spirito, Banca Agricola Mantovana, Banca Nazionale Agricoltura, Intesa SanPaolo), dal 2000 era stato anche nel gruppo Unicredit quale direttore generale del Credito italiano. Nulla trapela sulla storia delle modalità di affidamento in Unicredit ma per i rapporti Banca Marche-Bianconi-Casale, secondo quanto riportato dalla procura di Ancona, la “mala gestione” nascerebbe da una delibera di fine luglio 2010 quando il comitato esecutivo di Banca Marche aprì linee di credito a favore delle società di Casale per quasi 4.6 milioni di euro.
I FINANZIAMENTI A CASALE. I finanziamenti, almeno teoricamente, sarebbero stati erogati da Banca Marche alle società di Casale per anticipare dei crediti Iva pur – rilevano i magistrati – mancando dei presupposti, senza la produzione di alcuna certificazione dell’Agenzia delle Entrate. La procura – dopo aver rilevato che le pratiche di finanziamento furono avvallate da Bianconi – ha quindi ricostruito come Casale avrebbe reso il favore all’allora direttore di Banca Marche, partendo da un accordo di compravendita della palazzina di via Archimede 96 tra una società di Casale – la Immofinanziaria srl – e una società acquirente – la Archimede 96 srl appunto – amministrata dalla figlia di Bianconi e di proprietà sempre di familiari dell’ex dg. Prezzo stipulato della vendita: 7 milioni di euro. Ma pagati come?
A inizio 2010 la Tercas – la banca allora diretta da Antonio di Matteo e successivamente in default e acquistata da Banca Popolare di Bari – avrebbe aperto un mutuo ipotecario a favore dell’Archimede srl, la società appunto riconducibile a familiari dell’ex dg di Banca Marche. Un mutuo da rimborsare in 19 anni che sarebbe poi servito per sottoscrivere l’atto di compravendita. Fin qui niente di particolarmente grave, se un’altra società del gruppo Casale – la Cfn Servizi immobiliari srl – non avesse precedentemente preso in affitto lo stesso immobile di via Archimede 96 dalla società che poi vendette a Bianconi, a un canone di 600 mila euro all’anno.
RESPONSABILITÀ DI SISTEMA. Insomma, la Archimede 96 – e quindi più o meno direttamente Bianconi – si sarebbe ritrovata, secondo le ipotesi degli inquirenti, con 37 mila euro di rata di mutuo da pagare ogni mese a Tercas, incassandone però 50 di canone mensile di affitto dalla società riferibile a Casale. Oltre, ovviamente, all’immobile di via Archimede. Ma pensare che Bianconi possa essere l’unico responsabile della collusione-connivenza tra sistema bancario e Casale ci espone all’italico errore di nascondere altri colpevoli dietro il “mostro” sbattuto in prima pagina. Qui c’è una “consapevole” responsabilità di sistema, tra l’altro individuabile in un preciso illecito: la concessione abusiva del credito a quelle grandi imprese di cui si ha consapevolezza dello stato di grave crisi, con la conseguenza di mantenere in vita un’impresa oramai dissestata da un punto di vista patrimoniale, suscitando nel mercato la falsa impressione che si tratti di impresa economicamente ancora valida, così da indurre i creditori a continuare a contrattare con l’azienda e concludere affari con la stessa.
L’EFFETTO MUSTIER. Come ha scritto Fabio Volo, se si sbaglia ad allacciare il primo bottone di una camicia di conseguenza si sbaglieranno tutti gli altri. Gli altri però non saranno errori, ma solo la logica conseguenza del primo bottone sbagliato. E Jean Pierre Mustier, nuovo amministratore delegato di Unicredit, ha provveduto a cambiare tutte le camicie, rimuovendo l’intero top management. E il mercato lo ha premiato sottoscrivendo un mega aumento di capitale di 13 miliardi di euro. Il sistema bancario, se vuole salvarsi, deve presentarsi con facce nuove, credibili e preparate. Quelle di prima erano vecchie, subdole e impreparate.