La reinvenzione: un’imposta da pagare per il successo dell’azienda
“Non riuscire non è fatale, non riuscire a cambiare lo è”. Così si espresse John Wooden, il leggendario allenatore di basket dell’Ucla, che ha vinto 10 titoli in 12 stagioni del campionato nazionale universitario NCAA, grazie alla sua abilità nell’adattarsi costantemente a nuovi giocatori, nuovi avversari e nuovi stili di gioco.
Anche nel mondo degli affari gli imprenditori-manager devono continuamente affrontare cambiamenti complessi. In un contesto che cambia, una buona e temporanea performance dell’impresa non basta a garantire che si perpetui. Per mantenere l’organizzazione su alti livelli, gli imprenditori devono pagare necessariamente l’imposta della reinvenzione.
In questi ultimi trenta anni di esperienze vissute nella attività manageriale e consulenziale con le piccole imprese ho imparato che chi paga la tassa del cambiamento (a chi piace pagare le tasse?) ha capito quanto sia importante travalicare il nostro orgoglio per “ciò in cui siamo davvero bravi” che non solo può rendere le persone cieche davanti ai cambiamenti per le cose di cui il mondo ha bisogno e per quelle che i clienti apprezzano maggiormente ma può trasformare una vecchia capacità di differenziazione in una palla al piede del tipo “il modo in cui l’abbiamo sempre fatto”.
Gli evasori di questo importante balzello, determinante per la sopravvivenza, solitamente camminano in branco e si comportano come tutti gli altri. Quei pochi che si differenziano si distaccano dalla mandria anche in termini di frequentazioni. E ognuno di noi è anche il prodotto delle proprie frequentazioni. Siamo il risultato delle persone con cui veniamo a contatto più assiduamente. Senza volerlo siamo influenzati da chi ci circonda. E le persone che ci sono più vicine quotidianamente (consulenti e collaboratori) sono quelle che hanno maggior influenza sui nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni. In poche parole, il nostro modo di pensare, di parlare e di agire, anche negli affari, non è il risultato solo della nostra volontà, dei nostri studi o delle nostre esperienze, ma è dato anche dal mix di pensieri, parole e azioni delle persone a noi più vicine ogni giorno.
A tal proposito due elementi correlati alla reinvenzione sono ugualmente difficili e dipendenti dal nostro mindset. Le persone che scrutano l’orizzonte per intravedere segnali di cambiamento devono riuscire a separare le tendenze importanti e durevoli da quelle di breve respiro perché scambiare dei cambiamenti fondamentali per turbolenze effimere può essere fatale. E chi prende le decisioni deve essere disposto ad accettare danni temporanei alla performance per preparare il terreno a vantaggi di lungo termine.
Le costanti pressioni psicologiche affinché si producano risultati nel trimestre a venire è un dato di fatto che riscontro sistematicamente. Il lavoro fondamentale dei capi d’impresa, e di chi gli sta vicino (consulenti e collaboratori), è contrastarle con un punto di vista che mostri dove andrà il settore nei 2-3 (non di più) anni successivi. Come si fa a convincere un imprenditore che una strategia di breve termine potrebbe non essere valida sul lungo periodo e fare danni, se questi non ha chiaro il concetto di sostenibilità?
Vi assicuro che è faticoso ma se la vostra strategia colpisce gli osservatori in quanto del tutto inattesa è ottima cosa. Perché non conoscono il business bene quanto voi.
Sono considerazioni di questo genere a continuare a guidare le vostre reinvenzioni. Sono cambiamenti che comportano rischi non banali. Ma dopo tanti anni di analisi di casi di reinvenzione continua, ci si convince di poterli affrontare. John Wooden ha avuto qualcosa da dire anche su questo: “Il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale. Ciò che conta è avere coraggio”.