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Al Sud non siete d’accordo con il Recovery Plan? Fate un trade off
In Italia la mattina ti svegli e incontri uno che si lamenta. Sempre. Stiamo parlando ovviamente del lamentoso cronico, da distinguere dalla persona che semplicemente condivide una preoccupazione, un malessere o una situazione difficile. Se un provvedimento di un governo di destra accontenta anche uno di sinistra, ci sarà sicuramente qualcuno a sinistra che dice che si sarebbe potuto fare di più. Se sei soddisfatto perché la tua squadra del cuore vince, ci sarà chi, anche lui tifoso, dice che avrebbe dovuto fare più gol.
Un lamento continuo che nasce dal fatto che nel nostro paese storicamente non siamo abituati a fare un trade off che, letteralmente, è uno scambio di qualcosa in contropartita di qualcos’altro; in particolare rinuncia a una cosa o situazione desiderabile che rappresenta un beneficio o un vantaggio, in cambio di un’altra cosa considerata più desiderabile.
I trade off implicano necessariamente delle scelte. L’obiettivo è la ricerca dell’equilibrio fra ottenere qualcosa che vale di più di quello a cui si rinuncia (trading up) e rinunciare a più di quello che si ottiene (trading down). Nessun trade off può mantenere la vita in perfetto equilibrio. Ma soprattutto se i trade off sono compiuti di preferenza o esclusivamente a vantaggio di un solo aspetto della vita, allora la probabilità che si sviluppino problemi nelle altre dimensioni del nostro vivere è molto alta.
Nel decidere se essere contento o meno di quanto stabilito per il mio Sud dal Recovery Plan, ho fatto un trade off. E, al momento, sono felicissimo anche se la soluzione “migliore” non c’è! Il piano destina 82 miliardi al Mezzogiorno su 206, per una quota pari a circa il 40% della somma complessiva. Tanta roba. Ma ecco che si scatenano i soldati dell’esercito dei meridionalisti lagnosi che piagnucolano su due aspetti.
Lamentela n° 1
Innanzitutto ricordano che al Sud sarebbe dovuta spettare una quota del 70%. Ma vi siete soffermati sulla cifra stanziata? 82 miliardi di euro! Mai visti tanti soldi per il Sud. Forse è vero che la cifra spettante, in base ai parametri previsti, doveva essere maggiore, ma solo per memoria storica ricordo che la Cassa per il Mezzogiorno, la tecnostruttura nata per gestire l’intervento straordinario post bellico, nel piano generale iniziato con la legge 646 del 1950 ed esteso fino al 1965, si dotava di 100 miliardi di lire all’anno per dieci anni. Circa 2 miliardi di euro convertiti tenendo presente l’inflazione interpolata. Avete capito la differenza? E pure c’è chi non ha fatto un trade off e si lamenta comunque.
Lamentela n°2
In secondo luogo, qualora i piagnucoloni accettino il confronto con l’iniziativa della Cassa per il Mezzogiorno, spostano il loro disfattismo sulla omelia lacrimosa della inefficienza della Casmez quando sottolineano, giustamente, che l’ente a partire dal 1971 modificò il proprio modello decisionale, trasformandosi da struttura leggera e tecnica in una “complessa, folta e articolata struttura politico-burocratica con tutte le conseguenti ruberie, collusioni e sprechi”. Vero, verissimo! Proprio per questo il governo Draghi ha stabilito che le funzioni di monitoraggio, controllo e rendicontazione e i contatti con la Commissione Europea sono affidati al ministero dell’Economia e delle Finanze. Infine, è prevista una cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio, con il compito tra l’altro di interloquire con le amministrazioni responsabili in caso di riscontrate criticità nell’attuazione del Piano.
Tradotto: centralizzerà ogni decisione e controllo sull’utilizzo dei soldi per evitare di incorrere nel rischio di lasciarli nelle mani della politica locale. Ed allora scoppia il pianto della Maddalena di chi non può accettare che si riconosca ufficialmente una incapacità genetica nella gestione dei soldi pubblici, arrivando addirittura a sostenere considerazioni razziste e classiste. È un fatto evidente che al Sud non si è saputo spendere, indipendentemente dagli importi che sarebbero dovuti spettare (e su cui c’è stata sicuramente una sperequazione a favore del Nord).
Ma quando quei soldi sono arrivati per finanziare le infrastrutture e la crescita, la politica locale li ha sperperati! È un elemento indiscutibile su cui si può porre rimedio solo accorciando la catena decisionale e di controllo. Non bastano solo le risorse, occorre anche una classe dirigente che sia capace di progettualità ad ampio respiro, competenza tecnica e capacità di controllo sull’efficacia della spesa. Occorre fare anche qui un trade off.
Semmai il problema è un altro e nessuno ne parla
Perché il lamentoso cronico, molto diverso da quello episodico, fondamentalmente è un pigro nel pensiero e perde di vista il vero obiettivo. Il fatto su cui riflettere riguarda, infatti, la durata di questo governo di tecnici (i politici contano come il due di spade quando la briscola gioca denari). L’esecutivo durerà al massimo un altro anno, fino alle prossime elezioni presidenziali, non oltre. Più o meno il tempo che servirà per presentare il piano del Recovery Fund, farlo timbrare in Europa e iniziare ad attuarlo, che resta la condizione indispensabile per incassare il finanziamento Ue.
Dopodiché si scatenerà la vera battaglia politica tra chi dovrà poi davvero spendere quei soldi per terminare le opere. Ecco perché ora Draghi sembra avere, tranne qualche eccezione, una maggioranza di consensi politici bulgara. Si tratta di un “tiriamo a campare” per arrivare al momento di mungere la vacca.
P.S. se leggendo questo post vi siete convinti che non lo abbia scritto un uomo del Sud, ricordo che sono napoletano e meridionalista, ma abituato ai trade off.