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Nuovi capitali per le piccole imprese con l’equity crowdfunding
Gli imprenditori lo sanno?
L’equity crowdfunding, una opportunità per le piccole imprese che vogliono capitalizzarsi (e per i risparmiatori che vogliono rischiare).
Non solo debito
Le piccole imprese possono crescere anche acquisendo capitale da terzi sul web evitando l’intermediazione delle banche. È vero, finora sono circa 500 le campagne che hanno finanziato l’aumento di capitale delle piccole imprese ma la crescita annua è esponenziale.
Stiamo parlando dell’equity crowdfunding, la raccolta di capitali da parte di aziende utilizzando una piattaforma web.
A fronte dei circa 12 milioni di euro in tutto il 2017, distribuiti su 50 campagne, le piattaforme di equity crowdfunding in Italia a fine 2020, come riferisce crowdfundingbuzz.it, avevano raccolto complessivamente 103 milioni di euro, ovvero il +57% rispetto ai 65 milioni raccolti nel 2019.
La crescita delle campagne finanziate è stata invece meno verticale rispetto a quella della raccolta: 159 rispetto alle 139 del 2019 (+14%). Di conseguenza è aumentata radicalmente la raccolta media di ciascuna campagna: 648 mila euro contro 472 mila del 2019.
Ma se c’è qualcuno che raccoglie, l’altra faccia della medaglia riguarda chi decide di fornire quei capitali. Si tratta, infatti, di una forma di investimento che consente alla “folla” di investitori (crowd) di finanziare startup innovative e piccole e medie imprese (sia innovative sia non) attraverso portali online autorizzati, erogando un contributo finanziario in cambio di quote societarie delle stesse imprese (equity).
Investimento ad alto rischio
Investire in aziende attraverso l’equity crowdfunding significa puntare su imprese che si ritiene abbiano il potenziale per crescere e imporsi sui mercati. Si investono soldi in cambio di una parte delle quote del loro capitale, il che significa diventarne soci. Se un’impresa in cui si è investito ha successo, le azioni che si possiedono avranno un valore più elevato di quello che si è pagato e se ne può quindi ricavarne un profitto vendendole, oppure si può scegliere di incassare i dividendi. D’altra parte, se l’iniziativa non ha successo – come peraltro succede a molte startup – si rischia di perdere tutto o almeno parte dell’investimento. Bisogna sempre ricordare che è un investimento ad alto rischio.
L’importo medio di investimento per ciascun investitore nelle singole campagne è di circa 4.000 euro. In ogni caso il numero degli investitori privati che si stanno avvicinando all’asset class sta aumentando, anche aiutati dal fatto che finalmente è possibile condurre tutte le pratiche online.
Il valore medio del target di raccolta per ogni emittente è di circa 250.000 euro, mediamente viene offerto in cambio il 13,5% del capitale.
Tra Nord e Sud
Fra le imprese emittenti continuano a prevalere le startup innovative, l’84,6% del totale, ma aumenta l’incidenza delle PMI innovative (8,4%) ed iniziano a comparire anche “normali” le PMI (5,1%). Come sempre gli imprenditori del Sud continuano a stare indietro, immaginando per la loro sopravvivenza (non crescita) opportunità di finanziamento che appartengono ad un mondo che non esiste più.
La grande maggioranza delle imprese capitalizzate opera, infatti, in Lombardia (seguono Lazio e Piemonte) e nel settore dell’ICT. Gli obiettivi principali per la raccolta di capitale sono investimenti nel marketing / brand (nel 59% dei casi) e nello sviluppo della piattaforma tecnologica (37%).
In media ogni campagna riceve il sostegno di 65,9 investitori. È ancora scarsa la partecipazione di investitori istituzionali di emanazione bancaria, incubatori certificati e fondazioni.
Finora, nessuna delle società finanziate è andata in default o è scomparsa. In compenso, diverse società emittenti hanno realizzato più round di raccolta, a multipli crescenti, con conseguente rivalutazione degli investimenti realizzati nei primi round. Su questa base, l’Italian Equity Crowdfunding Index ideato dall’Osservatorio calcola un apprezzamento complessivo del valore di portafoglio pari circa al 17%! Vi ricordate l’equazione alto rischio= alto rendimento, basso rischio= basso rendimento?
L’Italia è stata tra i primi Paesi al mondo una normativa sul settore
Nel 2012 il cosiddetto Decreto Crescita bis ha introdotto gli articoli 50-quinquies e 100-ter nel Testo Unico della Finanza che disciplinano, rispettivamente, la “Gestione di portali per la raccolta di capitali per le start-up innovative” e le “Offerte attraverso portali per la raccolta di capitali” e ha delegato la Consob ad adottare le relative disposizioni di attuazione. Consob così ha emesso una prima versione del Regolamento nel luglio 2013. Successive modifiche normative hanno permesso in prima battuta anche alle PMI innovative, e poi a tutte le PMI, di raccogliere capitali sulle piattaforme di equity crowdfunding. Nel gennaio 2018 Consob ha pubblicato il nuovo Regolamento, che ha recepito le ultime modifiche legislative.
In sintesi possono accedere all’equity crowdfunding:
- microimprese con meno di 10 dipendenti e un fatturato (oppure un totale di bilancio) inferiore a 2 milioni di euro;
- piccole imprese con meno di 50 dipendenti e un fatturato (oppure un totale di bilancio) inferiore a 10 milioni di euro;
- medie imprese con meno di 250 dipendenti e un fatturato non superiore a 50 milioni (oppure un totale di bilancio non superiore a 43 milioni di euro).
Ma bisogna considerare che la Consob vigila sulle piattaforme in sé e non sulle informazioni pubblicate dalle aziende per cui è fondamentale sceglierle con attenzione facendosi indirizzare da un Cfo (anche temporary manager) esperto del settore.
Le piattaforme autorizzate da Consob oggi sono 26, ma quelle davvero attive sono una decina.
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