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Dal 1° gennaio saremo tutti “cattivi pagatori”. Occorre mettere mano ai sistemi di scoring
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore per Il Fatto Quotidiano
La disciplina deve essere rivista senza, per questo, voler tutelare i morosi incalliti. Siamo in un altro mondo rispetto al 2013, quando l’ossessione dell’Unione europea era quella di mettere, invano, in sicurezza il sistema bancario.
Occorre rielaborare i sistemi di scoring per la concessione creditizia e per il monitoraggio dei rischi attribuendo un diverso peso ai “cattivi pagatori” in base alla loro recidività, invece di equipararli tutti alla stregua di appestati. Anche perché la cronaca degli ultimi anni ha dimostrato che il volume più alto di Npl (Non Performing Loans) della storia del credito bancario si è avuto proprio negli ultimi 20 anni con l’introduzione dei sistemi di rating.
Probabilmente qualcosa non ha funzionato nonostante l’emarginazione dei “cattivi pagatori”.
Per il momento è solo una accusa. Una accusa di silenzio da parte dei principali media e di presunta subdola inoperosità da parte del governo. Forse sono distratti dai tanti dpcm dovuti alla gestione della pandemia, ma se non si muovono ci saranno più default di quanti prodotti dal Covid-19. Il tempo della condanna è ormai vicino.
La riprovazione potrebbe, infatti, arrivare il prossimo 1° gennaio se gli organi governativi non si adopereranno per modificare una norma del nuovo regolamento europeo che andrà in vigore a partire dal prossimo anno e che potrebbe coinvolgere imprese, famiglie, lavoratori autonomi e gli stessi istituti di credito.
In sintesi dal 1° gennaio 2021, chi ha un debito finanziario maggiore di 100 euro (500 euro per le imprese) e un ritardo nei rimborsi di oltre 90 giorni finirà nell’elenco dei cattivi pagatori e sarà segnalato alla Centrale Rischi della Banca d’Italia, se l’importo delle rate morose supera l’1% dell’esposizione totale verso l’istituto di credito.
A questo punto, se finora era difficilissimo ottenere finanziamenti dalle banche, diventa praticamente impossibile l’accesso al credito con il conseguente probabile fallimento dell’impresa e il dissesto finanziario della persona fisica.
E’ vero che le norme erano state approvate molto tempo prima della pandemia di Coronavirus (nel 2013) e della conseguente crisi economica, che ha aggravato notevolmente le capacità di rimborso dei debitori (soprattutto se imprese), ma è altrettanto vero che a soli 30 giorni dalla entrata in vigore casualmente nessuno le ha riviste.
Nemmeno le ammissioni pervenute dal presidente dell’Abi, Antonio Patuelli – che lo descrive come “un meccanismo micidiale soprattutto in epoca di pandemia, perché chi accusa quel ritardo finisce per essere inserito nella lista dei cattivi pagatori, con tutto quello che ne consegue (anche per le banche). Tutto ciò finirebbe per strangolare l’economia” – ha scosso l’indaffarata compagine di governo, che potrebbe contribuire a realizzare una vera e propria strage delle piccole attività che secondo una stima della ConfCommercio potrebbe portare al default di almeno 42mila piccole imprese.
Ma l’aspetto ancora più sconcertante riguarda i tempi di permanenza dei “cattivi” nelle banche dati creditizie anche dopo aver sistemato la morosità. Si rimane, infatti, segnalati in banca dati per un tempo diverso in base alla gravità dell’inadempimento o al tipo di finanziamento richiesto, in modo da evitare che, ad esempio, chi ha saltato solo un paio di rate ma in seguito le ha rimborsate venga equiparato ad un moroso cronico. Ma comunque per un periodo non inferiore ad un anno e fino ad un massimo di 5 anni!
La disciplina deve essere rivista senza, per questo, voler tutelare i morosi incalliti. Siamo in un altro mondo rispetto al 2013, quando l’ossessione dell’Unione europea era quella di mettere, invano, in sicurezza il sistema bancario.
Occorre rielaborare i sistemi di scoring per la concessione creditizia e per il monitoraggio dei rischi attribuendo un diverso peso ai “cattivi pagatori” in base alla loro recidività, invece di equipararli tutti alla stregua di appestati. Anche perché la cronaca degli ultimi anni ha dimostrato che il volume più alto di Npl (Non Performing Loans) della storia del credito bancario si è avuto proprio negli ultimi 20 anni con l’introduzione dei sistemi di rating.
Probabilmente qualcosa non ha funzionato nonostante l’emarginazione dei “cattivi pagatori”.