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Il fallimento del decreto liquidità non è colpa delle banche
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore
La finanza, per quanto diabolica possa essere, è comunque più veloce a rispondere tempestivamente alle esigenze straordinarie dettate dal coronavirus. I suoi provvedimenti e le sue decisioni, per quanto sbagliate possano essere, non conoscono la burocrazia della politica.
Questa settimana facciamo, un po’ per scherzo e un po’ come provocazione, un sondaggio con voi sulla in(efficienza) di questo governo nell’affrontare una emergenza e risolvere il “problema” della sopravvivenza delle piccole imprese del nostro Paese attraverso il decreto liquidità che, come abbiamo già sostenuto la settimana scorsa, è stato finora un bluff.
Le banche hanno continuato a fare le “banche”, con i loro deliri di onnipotenza, le loro inefficienze e i loro paradossi che spesso sono border line tra il drammatico e il grottesco. Ma qualcuno le ha messe in condizioni di esprimere il meglio (o il peggio) del loro repertorio di bugie, arroganze, incompetenze e imbarazzi.
DOVE HA FALLITO IL GOVERNO?
Ad ogni modo perché tanta inefficienza politica nella gestione di tale “problema”? Lo voglio chiedere a voi, cari lettori, attraverso l’analisi di uno degli strumenti basici della gestione manageriale di una organizzazione : il problem solving. Il problem solving è la più complessa di tutte le funzioni cognitive e consiste nell’abilità di trovare una soluzione a qualsiasi tipo di problema. È un bravo problem solver colui che sa affrontare qualsiasi tipo di situazione e sa risolvere le difficoltà che incontra nel percorso che lo porta alla realizzazione dei propri obiettivi. Un “problema” può essere definito come una qualsiasi variazione fra ciò che è previsto in uno standard concordato (obiettivo) e ciò che sta accadendo nella realtà (consuntivo). Ad esempio, il governo voleva dare un aiuto alle imprese (obiettivo) e invece finora quasi nessuno ha ricevuto euro (consuntivo). Il metodo più comunemente utilizzato nel processo di soluzione del “problema” prevede sette fasi :
- Identificare (capire) il problema. Il 70% degli insuccessi dipendono da questa fase perché non si riesce a focalizzare l’attenzione sul vero “problema”;
- Analizzare il problema. È la fase più lunga e consente di scoprire le cause, le ragioni del problema, capire perché si è verificato. È la fase in cui si deve cercare di ottenere quante più informazioni possibili;
- Generare soluzioni valide . In questa fase scatta la fantasia, l’immagizione. Talvolta, sempre che sia valida, la soluzione potrebbe essere pure quella di non fare nulla;
- Valutare le alternative attraverso l’analisi costi-benefici. È la fase in cui c’è bisogno dei “tecnici”, degli “esperti” e delle “task force”;
- Scegliere la soluzione giusta. È la fase che fa la differenza tra un manager/politico scarso e un manager/politico bravo;
- Ottenere l’autorizzazione (dal capo, dal parlamento, ecc). È la fase che si tende ad evitare quando non si e’ certi di aver fatto fatto bene le fasi precedenti;
- Implementare. Significa azione, realizzazione, fare. Occorre curare con attenzione tale fase perché potrebbe inficiare l’intero processo anche qualora quella soluzione sia quella giusta;
- Monitoraggio del piano fino a ottenere il risultato desiderato. È la fase di verifica della soluzione del problema. Se nonostante l’implementazione ci accorgiamo che sussiste lo sfasamento tra obiettivo e consuntivo, allora occorre ripartire dalla fase 1 e magari renderci conto che il problema era un altro.
Secondo voi in quale delle 8 fasi del processo di problem solving ha fallito il governo?