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Lo spread misura l’affidabilità del Paese e dei suoi media
Adesso l’Ufficio parlamentare di bilancio, Bankitalia e le agenzie di rating vengono santificati. Se il sistema nazionale non è credibile, non lo è nemmeno quello dell’informazione.
Premessa non indispensabile ma indicativa. Se BankItalia, Fondo monetario internazionale (Fmi), Ufficio parlamentare di Bilancio, agenzie di rating, Istat (e forse ne ho dimenticato qualcuno) hanno definito il Documento di economia e finanza (Def) ricco di inefficienze, le interpretazioni sono tre:
- Siamo di fronte a un complotto;
- Lega e Movimento 5 stelle sono rappresentati da politici davvero incompetenti;
- Lega e M5s vogliono farsi percepire come “catastrofisti” per essere obbligati ad andarsene a casa per poi ritornare a governare con una maggioranza bulgara.
Accantoniamo la premessa e focalizziamoci invece su una dinamica che mi ha incuriosito parecchio. Il giudizio sulla credibilità e l’autorevolezza dei soggetti sopraindicati da parte di alcuni opinion leader del mondo dell’informazione è oscillato, negli ultimi anni, in maniera netta da valori assolutamente negativi a significati molto vicini alla santificazione. Se oggi si dà credito alle analisi di Bankitalia come un musulmano ai versetti del Corano, forse ci si dimentica di come l’organo di vigilanza sia stato deriso per la sua totale inefficienza nella attività di controllo sul sistema bancario e per la sua scarsa capacità di immaginarsi, prima del 2008, gli scenari finanziari. Se oggi si valorizza la profondità di osservazione delle relazioni del Fmi, forse ci si dimentica che per la Grecia e l’Ucraina qualche anno fa l’organizzazione era stata considerata un problema e non una soluzione ai problemi per i quali era stata destinata, arrivando paradossalmente a complicarli. Se oggi si magnifica il lavoro dell’Ufficio parlamentare di bilancio, ci si dimentica che fino alla settimana scorsa contava come il due di coppe quando la briscola è a denari. Se oggi addirittura si esaltano i report delle agenzie di rating, ci si dimentica che queste società sono state considerate poco credibili dopo la crisi del 2008, in quanto hanno contribuito anch’esse a quegli eventi, assegnando rating troppo alti alle obbligazioni garantite da mutui subprime nel 2008 negli Stati Uniti d’America, senza dimenticare le analisi di rating positive fornite nei confronti della banca Lehman Brothers appena una settimana prima del suo fallimento oppure di Parmalat poco prima del suo crac finanziario. Epilogo forzato e paradossale: ma non è che lo spread, indice che misura sostanzialmente l’affidabilità di un Paese, sia influenzato anche dalla scarsa coerenza e credibilità di alcuni mezzi di informazione?