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Conservare e richiedere i documenti bancari è molto difficile
Siamo solo disordinati?
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore su People For Planet
Contratti di apertura del conto corrente, contratti di affidamento e loro variazioni, fideiussioni e atti di pegno, estratti conto trimestrali, profilo di rischio: sono solo alcuni dei documenti che ciascun correntista dovrebbe conservare con cura.
Pero’, sulla base della mia esperienza di consulenza, rilevo che circa il 78% dei clienti di una banca non ritiene importante preservare e immagazzinare tali atti.
E ciò avviene sistematicamente per negligenza (peccato veniale) o per la endemica fiducia nella banca che viene percepita come ‘archivio’ personale che immagazzina i nostri atti che possiamo poi sempre richiedere nel momento del bisogno (peccato mortale).
Ed è proprio la percezione di quel momento, il momento in cui ne abbiamo bisogno, che viene individuato dalla banca come la circostanza in cui negare o rendere difficile, costosa, complessa la consegna della documentazione richiesta.
Perché la banca capisce che l’analisi di quei documenti da parte di professionisti specializzati nasconde tanti talloni di Achille. Quindi tante resistenze, tante menzogne, tante risposte semplicemente dilatorie per far stancare il cliente che viene indotto a desistere.
Gli intermediari finanziari, di regola, frappongono difficoltà di varia natura al rilascio delle copie della documentazione.
La più frequente delle resistenze delle banche, cogliendo un’interpretazione strutturalmente letterale della norma, fa riferimento al fatto che molto spesso le richieste avanzate dalla clientela presentano una qualche forma di genericità e non siano riferite a una ben circostanziata e individuata operazione; la richiesta ad esempio di copia del contratto e della documentazione di conto riferita a un periodo temporale specificato, veniva in precedenza talvolta disattesa adducendo appunto vizi di eccessiva genericità della richiesta stessa.
Quindi occorre essere precisi: “Mi occorre copia del contratto di conto corrente n°…………aperto in data ………”
Ma non mancano anche motivazioni semplicemente paradossali e talvolta ridicole come la più volte ascoltata frase che quei documenti sono conservati in un «archivio che si trova in capo al mondo e che quindi risulta difficile reperirli». Menzogna.
Tutti i documenti sono reperibili in pochi minuti attraverso semplici interrogazioni al terminale oppure sono conservati all’ interno dei partitari presenti nelle stesse filiali dove viene effettuata la richiesta.
Ma la legge (e i professionisti seri) sono dalla parte del cliente. Vediamo perché.
I clienti di una banca, come è noto, possono richiedere agli istituti tutte le informazioni sulla quantità, qualità, finalità e logica adottata al trattamento, in relazione ai propri dati, così come previsto dagli art. 7, 8 e 10 D.Lgs. 196/2003.
Trattandosi in particolare di dati relativi ai rapporti bancari, i diritti degli interessati sono regolati e garantiti anche dall’articolo 119 comma 4 Tub: i clienti possono ottenere a proprie spese, entro congruo termine e comunque non oltre 90 giorni dalla richiesta, copia della documentazione relativa a una o più operazioni effettuate dalla banca.
Ma vediamo cosa intendiamo per «proprie spese» e «termine congruo».
In un momento di profonda crisi economica pretendere da un cliente anche 10 euro per singolo estratto conto significa adottare un comportamento estorsivo e usuraio.
Pertanto vi invitiamo a negoziare il prezzo di una fotocopia e, se proprio vi accorgete che tale determinazione (da parte della banca) a sostenere un prezzo fisso è irremovibile, azionate l’ormai famoso microregistratore (disponibile anche in qualsiasi telefono mobile), registrate tutta la conversazione e scriveteci.
Per quanto riguarda invece l’interpretazione dell’espressione «congruo (e comunque non superiore a 90 giorni)» al quale fa riferimento l’art. 119 Tub non va però confuso con il termine entro il quale i titolari del trattamento dei dati personali devono fornire riscontro alla richiesta da parte degli interessati, ai sensi degli artt. 7, 8 e 146 D.lgs. 196/2003.
Con la pronuncia 2 agosto 2013, n. 18555 la Cassazione ha infatti confermato che il riscontro alla richiesta dell’interessato, ai sensi dell’art. 7, della legge sulla privacy, deve essere fornito con la massima tempestività.
Con tale precisazione, la Corte consente di ritenere che il termine di 15 giorni previsto dall’art. 146 della legge sulla privacy, sia congruo anche per la consegna della documentazione bancaria, contenente le informazioni che l’interessato richiede: il che a sua volta consentirebbe un’interpretazione diversa, e più restrittiva, dell’Intervallo temporale indicato dall’articolo 119 Tub.
La conoscenza fa forza negoziale.