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Regolare il lobbismo per contrastare la corruzione
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore
Vi siete mai chiesti cosa sarebbe accaduto in un Paese anglosassone nel caso in cui, come è avvenuto in occasione del decreto “salvabanche” (il decreto con cui furono salvate dal fallimento quattro piccole banche locali da anni in grave difficoltà: Banca Marche, le Casse di Risparmio di Ferrara e di Chieti e Banca Etruria), non ci fosse stata la giusta trasparenza e pubblicità degli incontri tra governo e istituti? La mancata pubblicità degli incontri tra governo e rappresentanti delle banche, in presenza di una legge che regolamentasse l’azione di lobbying, sarebbe stata un reato. Negli Stati Uniti i rappresentanti del governo si sarebbero dovuti dimettere come ministri e avrebbero dovuto rispondere delle mancate comunicazioni. Ecco perché è venuto il momento di disciplinare l’attivitè delle lobby. Il termine lobby, pero’, spesso usato in maniera non appropriata, nel nostro immaginario di cittadini di un Paese di matrice non-anglosassone, ha assunto una connotazione negativa e dannosa. Ma chi è e cosa fa il lobbista? E soprattutto le lobby sono un pericolo per la democrazia?
QUESTIONE DI PERCEZIONE. I lobbisti, quando fanno bene il loro mestiere, non hanno nulla a che vedere con la corruzione e l’affarismo. Ho appena terminato di leggere un interessante libro (Lobbying, aziende e amministrazioni pubbliche – Edizioni Scientifiche Italiane) scritto da Antonio de Lucia, esperto di collaborazioni con multinazionali e fondazioni nel campo dell’internazionalizzazione e delle relazioni istituzionali, che prova a rilanciare il dibattito sul lobbying in Italia. Sono d’accordo con l’autore sul fatto che occorre innanzitutto cambiare il modo in cui viene “percepita” l’attività di lobbying. Una impresa sicuramente difficile nell’attuale contesto sociale ed economico ma comunque una necessità per migliorare le performance di aziende e amministrazioni pubbliche consentendo una maggiore trasparenza e legalità nel rapporto tra pubblico e privato. La mancanza di regole precise che disciplinino il rapporto tra istituzioni e stakeholder ha senza dubbio pesato negli ultimi anni nella percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica.
L’indice di Percezione della Corruzione (Cpi) di Transparency International piazza, infatti, l’Italia al 54esimo posto nel mondo su 180 Paesi analizzati, lontana da Nuova Zelanda e Danimarca che sono nelle primissime posizioni e comunque dopo la Namibia e al pari della Slovacchia. Stiamo parlando, lo ricordiamo, di “percezione” e non di dato oggettivo che, probabilmente, è di valore inferiore. In altri termini, noi italiani percepiamo un sistema ancora più corrotto di quanto poi effettivamente non lo sia. La corruzione è spesso legata a una mancanza di trasparenza sul processo decisionale e su chi lo influenza, facilitando così sui media l’accostamento tra lobbisti a faccendieri o massoni. Completamente differente dalla visione anglosassone del fenomeno lobbismo che fa invece riferimento a quelle procedure che regolano le relazioni istituzionali. Il lobbista non è un corruttore, un trafficante di influenze: se fosse così, non ci sarebbe alcun bisogno di regolamentare, per loro ci sarebbe già il codice penale. Chi fa lobbying, invece, è un mediatore: porta le istanze del privato alle istituzioni pubbliche, ma le porta mediandole con altri interessi. Così quando parla con un parlamentare o un dirigente ministeriale rappresenta sempre un intero settore, mai una sola azienda.
MAGGIORE REGOLAMENTAZIONE. Necessario è quindi evidenziare in modo analitico le implicazioni organizzative, gestionali ed economiche del fenomeno del lobbying sulla Pubblica amministrazione, sia soffermandosi sugli aspetti diretti alla lotta contro la corruzione e quindi a quelli relativi all’accrescimento della trasparenza, sia indicando in che modo eventuali interventi del legislatore, che istituiscono questa particolare categoria di operatori, possano contribuire a migliorare sensibilmente le performance delle istituzioni e delle aziende pubbliche. Nelle scienze economico-sociali è da diverso tempo dimostrata l’evidenza empirica della correlazione negativa tra la corruzione e la crescita economica per cui, a parità di altre condizioni, a un elevato indice di corruzione del sistema Paese si accompagna un tasso di crescita economica più basso. La necessità di maggiori regolamentazioni e vigilanza sulle attività di lobbying per avvicinare l’Italia al resto dello scenario internazionale viene individuata fra le possibili soluzioni, valida anche per uniformarsi alla pratica e alle regolamentazioni adottate dall’Unione europea ma, paradossalmente, non da tutti i suoi Stati membri. Nel presunto nuovo contratto di governo M5s-Lega non c’è assolutamente traccia di un tentativo in tal senso.