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Bcc, un patrimonio in crisi ma da tutelare
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore
Una governance miope. Con un accentramento che annulla il radicamento al territorio. Così da piccole ed efficienti repubbliche autonome le banche di credito cooperativo rischiano di ridursi a vassalli di un feudo che tende a soffocare le piccole realtà.
C’è tanta agitazione e preoccupazione per l’entrata in vigore della riforma del credito cooperativo stabilita con la legge 49/2016 che ha praticamente prodotto una balcanizzazione degli assetti riunendo le circa 300 Bcc del nostro Paese in tre galassie. Due grandi gruppi facenti capo all’area romana di Iccrea (160 circa) e ai “trentini” della Cassa Centrale Banca di Trento (100) che si guardano in cagnesco e uno più piccolo (50 circa) facente capo alle realtà della provincia di Bolzano che segue una strada propria.
LA RICHIESTA DI MORATORIA. L’Associazione Generale delle Cooperative Italiane Agci, Organizzazione di rappresentanza, assistenza, che associa oggi oltre 7 mila imprese operanti in tutti i settori di attività economica, tra le quali anche alcune Banche di Credito Cooperativo, ha chiesto una moratoria della riforma del credito cooperativo della durata di due anni, tale da consentire alle Bcc di consolidare il loro percorso di crescita e di miglioramento delle proprie performance, già comunque in atto da anni.
UNA GOVERNANCE MIOPE. Molti rappresentanti della governance delle Bcc (quelle sane ed efficienti) mi riferiscono costantemente che stanno andando incontro a un modello di governance miope, con un accentramento delle principali funzioni di gestione di una banca (politica creditizia in primis), che distrugge il concetto di banca del territorio. Da piccole ed efficienti repubbliche autonome a semplici vassalli di un feudo che tende a soffocare le piccole realtà radicate sul territorio. Non solo, ma il rischio maggiore che corrono le Bcc sane è quello, come avviene in qualsiasi progetto di integrazione, di dovere sostenere anche le inefficienze delle Bcc malate.
LUCI E OMBRE. Uno sconvolgimento degli equilibri finanziari ed economici del nostro Paese di cui pochi parlano e che merita più di una considerazione di carattere generale. È fuori dubbio che per oltre un secolo e fino a circa 10 anni fa il Credito Cooperativo ha contribuito al sostegno delle micro imprese e delle famiglie, delle comunità periferiche, registrando enorme crescita, sviluppo, successi. È altrettanto indubbio che forse questi successi, cosi come avvenuto anche per le grandi banche Spa, lo abbiano mandato in diversi casi fuori strada.
Ed ecco quindi la crisi di questi ultimi anni di cui abbiamo ampiamente parlato in questa rubrica. Pesante, in alcuni casi devastante. Anche nel panorama complessivo di questi istituti non sono mancati infatti i casi di cattiva gestione, di mal funzionamento, di sindrome della ricerca della dimensione sempre più grande, di errori anche gravi. Si stima che circa un terzo delle Bcc italiane sia considerato ad alto rischio e un altro quarto mediamente a rischio.
LE BANCHE NON SONO SOLO IMPRESE. Ma questo non giustifica di gettare a mare un patrimonio di valore e di valori utile, anzi necessario al nostro Paese. La memoria collettiva delle disgrazie è sempre troppo corta ma non c’è dubbio che serve una diversa consapevolezza del ruolo delle aziende di credito. Occorre tornare subito alla consapevolezza che le banche non sono soltanto imprese come ci hanno voluto imporre e far credere. Alle banche affidiamo i nostri sudati risparmi, le nostre riserve per il futuro, ci rivolgiamo per ottenere i prestiti per le nostre necessità familiari, per la casa, per gestire e far crescere la nostra impresa. In altre parole, sono chiamate a svolgere funzioni di interesse generale. Per questa ragione fino a pochi decenni fa le banche non erano imprese “ordinarie”, “normali”, come quelle che producono auto, pasta, scarpe o vestiti. Quindi non erano e non potevano essere imprese con il solo obiettivo di fare utili o come si dice oggi di generare valore solo per gli azionisti.
ADDIO SVILUPPO DEL TERRITORIO. Siamo via via invece stati convinti che tra un’azienda di credito e un’azienda di abbigliamento non c’è nessuna differenza. Nell’immediato Dopoguerra l’idea che una banca dovesse mirare non al profitto, ma allo sviluppo del territorio, era stata espressa con convinzione da Luigi Einaudi in coerenza con la sua formazione di economista liberale. Ma il monito è rimasto inascoltato. Ci si è adeguati a una concezione di banca diametralmente opposta, di origine anglosassone, preoccupata più dei profitti dei banchieri che dei vantaggi per il territorio. La politica, le banche centrali, i sindacati dei lavoratori hanno assistito silenti se non complici a questa trasformazione delle banche da “anche” imprese a “soltanto” imprese! E i danni devastanti per il nostro Paese, per le comunità per le persone, per le imprese sono ormai evidenti.
DOVE SONO I VANTAGGI? Chi oggi nel nostro sistema bancario sa riconoscere o trovare gli enormi vantaggi che promettevano professori, economisti e soloni vari rispetto alla banca “solo” impresa, guidata dalle logiche del mercato? Che fine hanno fatto le garanzie che le banche diventate grandi Spa sarebbero state meglio controllate dagli azionisti e meglio gestite da manager finalmente altamente professionali? Le garanzie che i servizi forniti sarebbero migliorati, che sarebbero stati più economici e più efficienti?
DALLA FIDUCIA ALLA DIFFIDENZA. La realtà, quasi drammatica, del sistema bancario italiano è sotto gli occhi di tutti quelli che la vogliono vedere. Ma ci sembra che pochi abbiano voglia di inforcare occhiali che consentano di vederci chiaro, senza il filtro di ideologie tecnocapitaliste che sono costruite in luoghi lontani dal nostro Paese. Le banche si sono trasformate da luoghi della fiducia in luoghi della diffidenza, del pericolo della “fregatura”! Per quanto tempo ancora i nostri governi possono accettare, zerbinando, questa situazione vista l’importanza del ruolo attuale e prospettico delle banche? Urge una riflessione. Anzi più di una. Le faremmo nelle prossime settimane.