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Manuale di autodifesa dalle crypto-valute
Non mi piace scrivere di cripto-valute. Lo faccio dopo che il macellaio sotto casa l’altro giorno mi ha chiesto: “Dotto’ posso comprare i bitcoin?”. Mentre il crollo del valore delle valute digitali prosegue inarrestabile.
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore su “People for Planet”
Si tratta di una cripto-illusione generata dalla mente di cripto-speculatori esperti e monopolisti del web. Eppure non si parla di altro in giro. Al bar, a tavola con amici, sui social network, ovunque esista un microcosmo sociale, “tutti” si chiedono (e mi chiedono) se conviene investire in moneta virtuale. Ecco il punto che destabilizza: quel “tutti”. In quel pronome indefinito c’è l’imprenditore poco scolarizzato, il pensionato, la casalinga, lo studente al primo anno di Economia, il calciatore. Ma la cosa che mi preoccupa di più è che tra quel “tutti” ci sono anche coloro che hanno subito abusi dalle banche negli ultimi anni: possessori pseudo-ignari di azioni, obbligazioni subordinate, diamanti da investimento, polizze assicurative e derivati che hanno richiesto consulenza in merito dopo avermi affidato il mandato per la difesa dai presunti illeciti e soprusi perpetrati ai loro danni. Siccome le bolle speculative si manifestano quando anche il macellaio sotto casa inizia a parlare di finanza come se fosse una tombola, allora è il caso di far capire perché non investirei un euro in cripto-valute.
Innanzitutto, si tratta di un mercato non regolamentato, cioè un luogo virtuale in cui gli operatori si incontrano al fine di collocare, scambiare o rimborsare valori mobiliari. L’assenza di regolamentazione riguarda il fatto che il funzionamento di tale mercato, i prodotti e gli operatori ammessi non sono assoggettati alla disciplina specifica e alla autorizzazione delle Autorità di Vigilanza in materia di Mercati Regolamentati e non sono iscritti nell’apposito albo. In secondo luogo, si tratta di fenomeni finanziari che si stanno sviluppando senza i necessari protocolli di sicurezza previsti dalla disciplina Mifid per la lotta contro il riciclaggio dei fondi di provenienza illecita. Si sta infatti dirottando su questi mercati virtuali troppo danaro senza i metodici protocolli Kyc (Know your customer) necessari per la identificazione dell’intestatario del rapporto. In sintesi, l’apertura di un cripto-conto che consente di convertire il denaro ordinario in una qualche valuta virtuale non è soggetta ad alcuna procedura di valutazione. Chi, come noi di InMind Consulting, l’ha aperto ai fini della indagine si è reso conto di questa peculiarità sin da subito: una volta che si è caricata una copia della carta di identità unitamente a un proof of address (generalmente il frontespizio del proprio conto corrente) si viene abilitati a operare senza ulteriore discriminazione.
Infine, non è semplice prelevare. Noi per oltre un mese abbiamo tentato di ritirare la somma che avremmo (teoricamente) guadagnato senza riuscirci. Sostanzialmente, il conto in questione non permetteva di prelevare la posta. La risposta diplomatica dell’exchange faceva riferimento a fantomatiche verifiche legali da effettuarsi da parte del Compliance department e che a breve il denaro richiesto in prelievo sarebbe stato inviato. Faccio presente che il conto di trading risulta già verificato da mesi e che non è soggetto ai limiti di prelievo che invece hanno i conti non verificati. In questo caso nulla altro può fare l’investitore se non sperare. Il conto in questione infatti non ha un numero di contatto telefonico, si trova dall’altra parte del mondo e non ha nemmeno una chat di supporto in tempo reale. Permette solo di aprire un ticket in remoto per segnalare una qualche anomalia. Ci abbiamo rinunciato.
Può bastare per consigliare al risparmiatore comune di stare lontano da questa tipologia di investimento che non è assolutamente adatta ed alla portata della maggior parte delle persone visti i requisiti di competenze informatiche necessari e gli elevatissimi rischi connessi alla mancanza di protocolli di sicurezza? Eppure, ripeto, la massa inizia a chiedere. Su queste colonne da anni ormai sosteniamo che l’etica negli affari va sempre più scomparendo e che a farne le spese sono i poveri risparmiatori. Ma, come per tutte le generalizzazioni, occorre stare attenti perché non tutti i risparmiatori sono quei poveri disinformati che si vuole far credere. Se l’etica latita, forse, è anche grazie a queste persone (i risparmiatori) che, sempre alla ricerca dell’affare del secolo, sono talmente ingordi da acquistare prodotti finanziari molto rischiosi (se non palesemente spazzatura) che però promettono rendimenti abnormi. E lo sanno perfettamente. Solo che, spinti dall’ingordigia, si autoconvincono che in fondo il rischio è sostenibile. E quindi comprano. Salvo poi gridare all’inganno se restano spennati.
Il mercato dei prodotti finanziari si comporta esattamente come tutti gli altri mercati: è la domanda che genera l’offerta. Se nessuno si sentisse più furbo degli altri, se nessuno volesse straguadagnare, tempo pochi giorni e le cripto-valute sarebbero un lontano ricordo. Se invece la domanda si fa sempre più importante, l’offerta non può che andarle dietro. E allora: chi è etico e chi no? Chi offre l’impossibile perché è quello che il mercato chiede o chi chiede quello (l’impossibile) che poi il mercato gli offre? Non lo sono entrambe le parti. E non lo sono neppure i consulenti che accettano i mandati da quei risparmiatori che si sono presentati in una situazione disperata perché magari avevano acquistato azioni di Banca Etruria e poi mi chiedono dei Bitcoin. A quelli ho revocato i contratti. Quelle sono liti temerarie.