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Banche, tutta la verità sulla «norma salva-usura»
Nel 2015 il governo Renzi è intervenuto sul tema dell’anatocismo. E non proprio nell’interesse dei cittadini. In un libro, l’ex manager bancario Imperatore spiega i rischi di quella legge. E come difendersi.
Articolo di Vincenzo Imperatore su Lettera43
Documenti inediti, rivelazioni di insider, prove di intrecci e collusioni tra i mondi finanziario e politico. Sacco Bancario, ultimo libro del manager pentito Vincenzo Imperatore (in uscita il 26 ottobre per Chiarelettere), offre uno spaccato inquetante del mondo del credito. Di seguito, Lettera43.it pubblica un’anticipazione, il capitolo sulla «norma salva-usura».
La norma salva-usura
Gli interessi sugli interessi
Da alcuni anni, per l’esattezza dal 2014, si consuma, come avevo già denunciato in Io so e ho le prove, un metodico e sistematico atto di servilismo della classe politica italiana nei confronti della lobby finanziaria. Dopo l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti del 1993, infatti, una delle soluzioni più utilizzate dalle forze politiche per sovvenzionare la gestione economica delle loro complesse macchine organizzative è il ricorso al credito bancario. Com’era facile attendersi, e considerata la tendenza delle classi dirigenti al potere di scendere a compromessi e scambiarsi favori, si è pensato subito ad alcuni escamotage, affinché certe operazioni bancarie godessero di una specie di «protezione» legislativa.
Se ne ha riprova nel caso dell’anatocismo, la più odiosa e antica strategia messa in pratica dalle banche per spremere soldi dai conti correnti dei clienti. Sarebbe dovuto scomparire, invece, uscito dalla porta, è rientrato dalla finestra. Come un fantasma, continua a essere l’incubo dei risparmiatori. Il termine anatocismo deriva dal greco anà, cioè «di nuovo», e tokòs, che significa «interesse», e consiste nella capitalizzazione degli interessi passivi affinché questi, sommati appunto al capitale, producano maggiori interessi. Il principale effetto di capitalizzazione «composta» è l’aumento esponenziale del debito a carico del correntista. Nel 2004 la Corte di cassazione ha dichiarato illegittimo l’anatocismo bancario. Sentenza accolta anche dal governo Letta, che nella Legge di Stabilità del 2014, ne confermava il divieto. Le banche, però, hanno sempre trovato il modo di aggirarlo, preferendo rischiare una condanna in tribunale, piuttosto che intascare minori utili, con la scusa che le leggi in materia non erano da considerarsi «complete». Secondo gli istituti di credito, mancava infatti un tassello. Una delibera attuativa del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr) di cui fanno parte, è bene ricordarlo, i titolari di ben cinque ministeri (Economia e Finanze, Politiche agricole, Sviluppo economico, Infrastrutture e Trasporti, Politiche europee) e alle cui riunioni partecipa, senza diritto di voto, anche il governatore della Banca d’Italia.
Nel 2015 il problema è stato affrontato dal governo «bancocentrico» dell’ex premier Matteo Renzi, pilotato dalla lobby che ha al suo vertice Intesa Sanpaolo. Purtroppo, quella che doveva essere una normativa dalla parte dei cittadini, si è rivelata – ce lo spiega in maniera molto chiara il top manager di una banca che ha voluto mantenere l’anonimato – la solita clamorosa fregatura.
Il ritorno dell’anatocismo
Il 1° ottobre 2016 è entrata in vigore la nuova legge, dove è riportata la seguente frase: «l’anatocismo trimestrale sugli interessi convenzionali è stato annullato». Ciò significa, per differenza, che è ancora consentito l’anatocismo annuale. La legge parla poi solo di «interessi convenzionali», ossia, per intenderci, di tutti quelli sanciti da un accordo sottoscritto e firmato dal cliente della banca. L’anatocismo, insomma, sarebbe applicabile a un solo altro tipo di interessi, quelli «di mora». Ma è vero che l’anatocismo non si applicherà più agli interessi convenzionali? Non proprio. Le nuove norme stabiliscono che gli interessi dovuti alla banca, calcolati alla fine dell’anno solare, quindi al 31 dicembre, possono essere incassati dall’istituto di credito (o addebitati sul conto del cliente), non prima del 1° marzo dell’anno successivo. Entro quella data, il correntista, per effetto della nuova legge, ha due possibilità:
– pagare subito gli interessi passivi. In questo caso, il problema dell’anatocismo è in effetti scongiurato, perché il cliente estingue il suo debito;
– farseli addebitare automaticamente sul conto corrente alla data del 1° marzo. In tal caso, occorre che il cliente manifesti questa sua volontà alla banca con un’autorizzazione firmata.
Se il cliente sceglie la seconda opzione, gli interessi passivi maturati fino al 31 dicembre dell’anno precedente, incideranno sul suo conto a partire dal 1° marzo. Attenzione però. Se al momento dell’addebito sul conto c’è una somma tale da poter pagare l’interesse, va tutto bene: la banca incassa e il debito si estingue. Se invece il conto del cliente è in rosso, gli interessi, una volta addebitati, faranno maturare a loro volta altri interessi, che andranno ad appesantire il rosso già esistente. Insomma, l’anatocismo farà il suo ritorno in scena. Ora, dobbiamo considerare un dato, forse ovvio ma troppo spesso trascurato: la stragrande maggioranza dei correntisti ha un conto in rosso. Anche di pochi spiccioli, magari, ma in rosso. Le banche, che hanno l’obiettivo di incassare gli interessi, oppure, in alternativa, lucrare su essi (ecco perché a loro, l’anatocismo, conviene) ottengono un vantaggio dalle autorizzazioni firmate dai clienti, poiché – se il conto è in rosso – si garantiscono subito il decorso dei nuovi interessi sugli interessi.
Di fatto, rilasciando l’autorizzazione, il cliente, considerata la crisi economica degli ultimi anni che ha messo in ginocchio tante famiglie, si sente quasi un «privilegiato» per aver accettato l’addebito degli interessi e quindi aver legittimato la banca a calcolare nuovi interessi sugli interessi passivi maturati al 31 dicembre (e non saldati subito per mancanza di liquidità). “Privilegiato” perche’ il suo debito continua ad essere solo una scrittura contabile. “Privilegiato” perche’, al momento, non caccia materialmente un euro dalla tasca. “Privilegiato” perche’ magari quell’euro gli e’ servito per pagare qualche debitore all’apparenza piu’ esigente. In altre parole, con la firma di quella dichiarazione, il cliente dà il proprio consenso all’anatocismo. Ma non sa che sta dando autorizzazione a una pratica già giudicata illegittima dalla Corte di cassazione.
Fate attenzione alla mail che vi manda la banca
Detto questo, si capisce perché le banche, dopo l’entrata in vigore della legge, tra il 2016 e il 2017 hanno cominciato un’attività di comunicazione martellante (lettere recapitate per posta, mail, avvisi online eccetera) per convincere i loro clienti a firmare quell’autorizzazione. Alcune chiedono anzi ai clienti di farlo nel più breve tempo possibile, subito, dipingendo, in caso contrario, foschi e minacciosi scenari. Ciò che scandalizza è il lessico utilizzato da certi istituti di credito. Eccone un esempio.
Cosa succede se non autorizza la banca ad addebitare? Rifiutare l’addebito in conto degli interessi debitori comporta alcune conseguenze di cui essere consapevoli: infatti qualora il pagamento degli interessi non avvenga puntualmente al 1° marzo, la banca potrà calcolare interessi di mora, in ragione di ritardato pagamento. Inoltre, il mancato o ritardato pagamento potranno essere oggetto di segnalazione, in base all’importo e alle caratteristiche della posizione debitoria, alla centrale rischi di Banca d’Italia e/o nei sistemi di informazioni creditizie cui la banca aderisce.
Dato il tono volutamente intimidatorio, il messaggio potrebbe essere frainteso. Il cliente, infatti, potrebbe credere di dover pagare interessi di mora (sugli interessi non pagati, né addebitati automaticamente in conto) già dal 1° marzo, e di andare incontro a una segnalazione, insomma di diventare una «pecora nera» per il sistema bancario. Nulla di più lontano dal vero. Occorre, infatti, chiarire un dettaglio importante. La nuova legge non dice che il cliente è obbligato ad autorizzare la banca a addebitargli, preventivamente e in modo automatico, i soldi dovuti come interessi. La norma, cioè l’articolo 120 del Testo unico bancario, così come è stato modificato dalle ultime disposizioni del governo Renzi, non prevede affatto quest’obbligo. L’autorizzazione al prelievo automatico al 1° marzo è, e rimane, facoltativa. Il cliente può anche non firmare. In tal caso, non acconsente all’addebito automatico, e non corre nessun rischio, ma, soprattutto, non è soggetto ad alcuna conseguenza.
A tal proposito viene in soccorso la legge, in particolare gli articoli 119 e 120 del Testo unico bancario, i quali sanciscono che l’addebito degli interessi è possibile solo dal momento in cui tali interessi, calcolati dalla banca, diventano «esigibili». Se è vero che la formulazione dell’articolo 120 chiarisce che gli interessi sono esigibili dal 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati, è altrettanto indubitabile che la precisazione non è sufficiente. Infatti, perché gli interessi siano esigibili in concreto è necessaria una sorta di approvazione, anche con la forma del silenzio assenso, da parte del cliente. L’articolo 119 stabilisce che l’estratto conto si intende approvato «in mancanza di opposizione scritta da parte del cliente, trascorsi trenta giorni dal ricevimento». Insomma, gli interessi sono davvero «esigibili», se il correntista-cliente è stato informato dalla banca, tramite comunicazione dell’estratto conto, circa il loro concreto ammontare, e solo in mancanza di contestazione nei trenta giorni successivi.
Al contrario, in presenza di quella famosa «autorizzazione preventiva» e automatica, sollecitata dalle banche, gli interessi sarebbero esigibili fin da subito, il 1° marzo. Allo stesso modo, occorre computare il termine per la decorrenza degli interessi di mora. Infatti, la mora è dovuta solo all’esito del mancato pagamento degli interessi corrispettivi e, più in generale, delle competenze. In sintesi, in caso di mancata sottoscrizione del modulo, non si verificano le nefaste conseguenze prospettate dalla banca. Perché, allora, hanno tanta fretta di mettere le mani su quelle somme? Ma è ovvio: per avere la certezza di far crescere il monte di denaro sul quale calcolare nuovi profitti. La vostra autorizzazione fornisce alle banche stabilità sui tempi di esigibilità e di capitalizzazione degli interessi. Ed essendo «preventiva», è un favore che voi fate alla banca, la quale non deve nemmeno preoccuparsi di effettuare le comunicazioni previste nei termini che la legge stessa pone. Se voi firmate, la banca è libera già dal 31 dicembre di ogni anno di addebitarvi gli interessi in conto capitale alla data del 1° marzo.
Il consiglio è: non fatevi fregare.
Queste «autorizzazioni» non costituiscono in alcun modo, come vogliono farvi credere, un «adeguamento» alla nuova disciplina, contenuta nell’articolo, rivisto e corretto, numero 120, del Testo unico bancario. Bensì, come è chiaro, un «trucco» delle banche per continuare a fare quello che la legge espressamente avrebbe dovuto vietare: spremere al massimo i correntisti. Se la banca vi dice che, in virtù della nuova normativa, deve modificare i vostri rapporti contrattuali, diffidate. È capitato per esempio che una banca abbia presentato a un suo correntista un modulo da firmare, che, tra le altre cose, diceva: «[…] la banca ha diritto di utilizzare, ai fini dell’estinzione del debito di interessi, i fondi nella disponibilità del cliente presenti sul conto o su altri rapporti allo stesso intestati o cointestati. Il cliente autorizza altresì espressamente la banca a impiegare le somme accreditate e accreditabili a qualsiasi titolo sul conto o su altri rapporti intestati o cointestati al cliente, per il pagamento degli interessi debitori divenuti esigibili e non addebitati ai sensi del comma precedente».
Se il correntista firmasse un documento come questo, la banca, per cautelarsi rispetto a un futuro ed eventuale «insoluto» degli interessi, potrebbe legittimamente prelevare quelle somme da altri conti correnti, intestati a lui o cointestati (dunque con possibile coinvolgimento di, mogli, figli, soci, amici…). La cosa più importante da ricordare, dunque, è che certe «autorizzazioni» sollecitate dalle banche con tanta insistenza non c’entrano con l’adeguamento a una nuova legge entrata in vigore, non comportano obblighi, e soprattutto, possono rivelarsi tutt’altro che vantaggiose.
Cosa succede se non si firma l’autorizzazione?
Infine, tanto per farsi un’idea, e per completezza d’informazione, ecco che cosa può succedere veramente se non firmate l’autorizzazione. La banca ha due alternative, a seconda della situazione del conto. Se il conto ha un saldo positivo verrà effettuata la «compensazione legale» tra interessi e disponibilità nel conto (la compensazione potrebbe avvenire anche con la disponibilità presente in un altro conto, intestato allo stesso cliente, nella stessa banca). Se il conto ha un saldo negativo, la banca non può procedere con l’addebito in conto degli interessi dal 1° marzo, perché in questo modo si produrrebbe, appunto, anatocismo (interessi sugli interessi) senza l’autorizzazione del cliente. Allora, in questo caso, succede una delle seguenti cose:
1) Il cliente rende disponibili i fondi a copertura degli interessi passivi maturati, cioè, tira fuori i soldi e paga subito.
2) Se previsto dal contratto di affidamento del conto, le prime somme destinate ad affluire nel conto saranno utilizzate dalla banca per estinguere il debito rappresentato dagli interessi passivi maturati. In pratica, tutte le entrate successive al 1° marzo sarebbero usate, prioritariamente, per il pagamento di quegli interessi.
3) La banca può avviare la procedura di messa in mora del cliente. Poiché la nuova normativa non si applica agli interessi di mora, che pertanto continueranno a produrre interessi, ciò significa che, qualora al 1° marzo la banca non abbia l’autorizzazione all’addebito degli interessi maturati, su tale importo, dovuto dal correntista a titolo di interessi, e non ancora saldato, possono maturare altri interessi, ovvero quelli di mora, per il ritardato pagamento. Anche quest’ultima ipotesi è una dimostrazione che l’anatocismo è tutt’altro che scomparso…
E poco importa alle banche essere sanzionate (sempre in ritardo) al riguardo. Dall’inizio della crisi finanziaria, e più precisamente dal 2008, le multe e sanzioni inflitte alle banche condannate per pratiche illegali a danno dei consumatori (tassi usurai, anatocismo, indeterminatezza contrattuale, vendita di prodotti/derivati tossici, ecc.) rappresentano ancora poca cosa rispetto ai danni creati, ma soprattutto sono di gran lunga inferiore a quanto le stesse banche hanno guadagnato con quei comportamenti fraudolenti. Le multe che arrivano in ritardo e relativamente basse quindi non rappresentano un disincentivo. L’economista della Stanford University Anat Admati ha spiegato al Financial Times che «le multe sono viste dalle banche come un costo associato alle attività di business. Non vanno al cuore del problema e non sono efficaci nel far cambiare i comportamenti perché rimangono in atto forti incentivi a perseguire le stesse pratiche».