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Banche, basta col “saper essere”: recuperiamo le competenze
La vendita di un “prodotto complesso” non può basarsi solo sulla capacità di comunicare: servono preparazione ed esperienza. Ma nel sistema italiano chi è capace viene marginalizzato.
Articolo di Vincenzo Imperatore su Lettera43
In Italia non solo l’ascensore sociale si è inceppato. Anche quello professionale. Le conseguenze, se guardiamo alle condizioni attuali in cui versa il nostro Paese, il suo sistema bancario e ai suoi principali indicatori macroeconomici, sono molto serie. E dovrebbero indurci a riflettere. Potrebbe essere un problema di taratura delle competenze necessarie per poter sostenere il cambiamento?
Come ben sappiamo, le dimensioni della professionalità di un manager sono strutturate su tre livelli:
- Il sapere, cioè la dimensione della conoscenza tecnica costruita negli anni in base alla formazione accademica e soprattutto per effetto dei corsi di specializzazione aziendali;
- Il saper fare, in altri termini ciò che identifichiamo sinteticamente come “esperienza” e che permette al manager di tradurre i concetti teorici studiati in atti operativi;
- Il saper essere: tutto ciò che attiene all’area comportamentale e relazionale del manager
Negli ultimi 20 anni la formazione in banca si è focalizzata essenzialmente sullo sviluppo della dimensione del saper essere. C’è stato un abuso dei percorsi formativi basati su Pnl (Programmazione neuro linguistica), leadership for results, intelligenza emotiva eccetera, che hanno saputo produrre sicuramente degli ottimi venditori e dei discreti “capi”, ma nel contempo hanno depauperato il patrimonio tecnico e professionale che possedeva il bancario della generazione precedente.
CHIACCHIERATE IMPROVVISATE. Una tragedia sotto gli occhi di tutti. Non l’unica causa, ma una delle tante piu volte analizzate su questa rubrica. Soprattutto perché in banca si vende un “prodotto complesso” che necessita di una preparazione e di una competenza che non possono basarsi solo sulla capacità di comunicare. Se sono un consulente finanziario e non ho competenze di analisi creditizia, se non so “leggere” una Centrale rischi posso solo “improvvisare” una chiacchierata con un imprenditore che tento di acquisire come cliente, ma non riuscirò mai a essere convincente per farmi canalizzare i suoi risparmi personali.
Un esempio classico di queste dinamiche si riscontra nel mondo dei promotori finanziari che hanno, tranne una percentuale bassissima di professionisti, un gap formativo profondo nella cultura di impresa. Ne è una conferma il fatto che l’esame per l’iscrizione all’albo, così come il catalogo formativo proposto dalle associazioni di categoria per l’acquisizione dei “crediti formativi”, non preveda percorsi di addestramento sulla analisi creditizia.
SISTEMA ITALIANO MALATO. Purtroppo in Italia sappiamo come funzionano certe cose. Si preferisce appiattire tutto verso il basso. I bravi e i competenti vanno allontanati, marginalizzati, esclusi perché alterano, “sovvertono” il sistema. Che ha le sue regole inamovibili. Un simile atteggiamento, purtroppo assai diffuso sul piano culturale, sociale ed economico, non è però a somma zero. Anzi.