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Pensioni complementari, le tre opzioni sul tavolo
Caratteristiche, rendimenti e costi per orientarsi nella giungla della previdenza “alternativa”, tra Fondi negoziali, aperti e Piani individuali. Ma attenzione: rivolgetevi sempre a professionisti seri.
Articolo di Vincenzo Imperatore
Il viaggio nel complicato mondo della previdenza complementare, dopo i due passaggi delle scorse settimane, termina oggi con una tappa obbligata nella giungla delle proposte che si ritrovano di fronte i lavoratori che abbiano deciso di aderirvi. Cerchiamo di fare chiarezza nel tentativo di aiutarli verso una scelta più consapevole. Una regola generale, che vale per tutte le forme proposte dagli intermediari bancari e assicurativi, è che l’adesione è volontaria ma, una volta sottoscritto il contratto, le possibilità di uscirne sono rigidamente normate. È quindi fondamentale pretendere di conoscere queste casistiche, prima della sottoscrizione dei piani. Esistono tre grandi tipologie di prodotti di previdenza complementare, per alcuni versi simili tra di loro e per altri specificatamente valutabili e adattabili alle esigenze del singolo.
1. I fondi pensione negoziali (Fpn)
I Fpn sono sottoscrivibili dai lavoratori dipendenti di aziende private e pubbliche che abbiano accettato il Contratto collettivo di lavoro contenente la proposta di un fondo di categoria, dedicato agli addetti di quel settore. Un esempio è il fondo Cometa, il più consistente di tutti, riservato ai lavoratori metalmeccanici. Una volta raccolte le adesioni al fondo, il suo cda (rappresentativo dei lavoratori) deve avviare specifiche gare d’appalto per l’affidamento a gestori specializzati di tutte le somme raccolte, suddivise per tipologia di scelta di investimento. A questi fondi si aderisce in forma collettiva, attraverso due distinte modalità: con il conferimento della sola quota del Tfr, oppure anche con il contributo dell’azienda, frutto di accordo negoziale con le rappresentanze sindacali, cui si aggiunge il contributo del lavoratore che non può essere mai inferiore a quello dell’impresa. In molti casi è prevista la possibilità per il dipendente di contribuire con un importo fino al doppio di quello versato dal datore di lavoro.
I TRE VANTAGGI. In questo modo il lavoratore sfrutta a pieno la normativa a suo favore, con almeno tre vantaggi significativi: la deducibilità dal suo reddito annuo del contributo aziendale e proprio; il plus di rendimento derivante dalla gestione professionale del Tfr e dei contributi versati; al maturare del diritto alla pensione pubblica, una consistente riduzione di tassazione rispetto a quella che subirebbe al momento del ritiro del Tfr lasciato in azienda. Stiamo parlando di migliaia di euro di differenza.
2. I fondi pensione aperti (Fpa)
I Fpa si propongono invece sia ai lavoratori dipendenti sia agli autonomi con la doppia possibilità di adesione: individuale o collettiva. Nel primo caso i lavoratori dipendenti, una volta scelto autonomamente il fondo, possono chiedere alla propria azienda di trasferire sia il Tfr maturato sia il maturando e aggiungere a esso contributi volontari deducibili dal reddito. Con l’adesione individuale, il lavoratore dipendente perde il contributo aziendale, ma decide in autonomia a quale interlocutore affidarsi, avvalendosi del rapporto fiduciario intrattenuto con un professionista.
CONCORRENZA GARANTITA. È tra l’altro possibile per le aziende sottoscrivere convenzioni con operatori privati, dando così la possibilità ai propri dipendenti di aderire in forma collettiva non solo a un fondo negoziale di categoria, bensì anche a un fondo proposto da operatori alternativi. Nel caso in cui l’azienda abbia meno di 50 dipendenti, detta convenzione si chiama accordo plurisoggettivo; se supera i 50, la convenzione si chiama accordo aziendale. In entrambi i casi la convenzione definisce l’entità del contributo aziendale e viene sottoscritta dal datore di lavoro e dai lavoratori che intendono aderirvi. In più, in aziende con oltre 50 dipendenti, è necessaria la firma delle delegazioni sindacali. Con questa norma il legislatore ha inteso garantire la concorrenza tra operatori, lasciando più possibilità di scelta ai lavoratori. Anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti possono valutare di aderire ai fondi pensione aperti; non disponendo però né del Tfr né del contributo aziendale, conferiscono solo versamenti volontari, deducibili dal proprio reddito fino 5.164 euro annui.
3. I Piani Individuali Pensionistici (Pip)
I Pip sono la terza opzione possibile a disposizione dei lavoratori dipendenti e autonomi che vogliano conferire solo contributi volontari per la costituzione della propria “pensione di scorta”. Le principali caratteristiche che differenziano i fondi pensione aperti dai Pip sono due: i costi di gestione dei secondi sono generalmente più elevati di quelli dei Fpa ma a fronte di questo, nella stragrande maggioranza dei casi, dispongono di un “universo investibile” più ampio. Cosa significa universo investibile? I fondi pensione (anche quelli negoziali) sono multi-comparto, offrono cioè all’aderente profili di rischio/rendimento diversi, da modulare nel tempo secondo le tecniche di Life Cycle (di cui abbiamo già parlato nel nostro ultimo articolo).
PORTAFOGLI DIVERSI. Dove sta la differenza? Per i fondi pensione negoziali (Fpn) la gamma di comparti è abbastanza standardizzata e limitata, per i fondi pensione aperti (Fpa) è più ampia ma per i piani individuali pensionistici (Pip) è massima, poiché i gestori osservano regole di diversificazione che riguardano non solo la tipologia di titoli, o il posizionamento geografico delle imprese oggetto dell’attività gestionale, ma si possono sottoscrivere comparti anche con orientamento alle valute, ai settori e agli stili di gestione. Molti Pip consentono addirittura di investire contemporaneamente in più comparti, secondo percentuali scelte dal sottoscrittore per ottimizzare gli asset di portafoglio, possibilità preclusa a molti altri fondi pensione. Insomma, sono prodotti più sofisticati che ricercano valore per l’aderente in aree meno tradizionali e che hanno bisogno di certificate professionalità per la loro gestione.
Il rapporto costo-rendimento
E i rendimenti? I dati messi a disposizione dalle autorità di vigilanza e controllo (fonte: ultima relazione Covip) certificano che i lavoratori che hanno aderito alla previdenza complementare dovrebbero ritenersi soddisfatti, in quanto, a prescindere dalla forma opzionata tra le tre, tutte battono la rivalutazione del Tfr lasciato in azienda. Questo è sufficiente per capire che, per quanto riguarda Fpa e Pip, è arduo consigliare quali preferire, perché l’ampiezza del “catalogo” comprende 43 compagnie assicurative attive sui Fpa e 36 sui Pip.
OCCHIO ALLA PERFORMANCE. I costi medi nazionali dei Fpa, comparabili grazie all’Isc (Indicatore sintetico dei costi), oscillano tra lo 0,47% e l’ 1,72% annui, a seconda dei comparti prescelti, mentre quelli dei Pip stanno tra l’1,87% e il 2,71%. La forbice è molto alta; dietro a questi dati medi, non deve però sfuggire che esistono comunque comparti di Fpa più cari di quelli dei Pip. Verificare i costi è doveroso, però questi vanno poi coniugati con i rendimenti. Prodotti poco costosi e poco performanti, peggio ancora molto costosi e poco redditizi, si alternano ad altri mediamente costosi e ben performanti. Va altresì sottolineato che i fondi pensione sono strumenti di investimento tipicamente di lungo periodo (pluridecennali). Correttamente innescano dei meccanismi di inversione dei costi all’aumento dell’importo sotto gestione, così gli aderenti coerenti avranno ulteriori vantaggi derivanti dalle economie di scala.
REGOLA NUMERO 1: AFFIDARSI A PROFESSIONISTI. A fare il resto della differenza sono quindi elementi qualil’expertise gestionale, la consistenza delle masse, il miglior rapporto rischio/rendimento, la capacità di innovazione, la dimostrazione di sapersi adeguare velocemente ai cambiamenti di mercato, normativi, fiscali e operativi. Per i giovani lavoratori l’adesione alla previdenza complementare dovrebbe essere imprescindibile, ma anche lavoratori dipendenti, e ancor più autonomi, di età compresa tra i 50 e i 55 anni dovrebbero seriamente valutare questa idea, unendosi ai 7.874.488 risparmiatori italiani che al 31 dicembre 2016 avevano già deciso. I tassi di interesse sui comparti prudenti, oggi, sono molto modesti ovunque si investa, però i cicli delle economie cambiano e i tassi risaliranno esponendo i risparmiatori fai da te al rischio di perdite in conto capitale. Per ridurre gli errori, maturare conoscenza partecipata, ottenere di più… è utile affidarsi a professionisti seri, di provata esperienza, che rappresentano società storiche, con unica vocazione la gestione professionale del risparmio.