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Previdenza, serve ricorrere alla complementare
Articolo di Vincenzo Imperatore su Il Roma
E’ inutile girarci intorno: per la “generazione di mezzo”non è più sufficiente versare i contributi all’INPS per assicurarsi una certa tranquillità economica una volta cessata l’attività lavorativa. La “generazione di mezzo” rappresenta tutti quei lavoratori che hanno iniziato la loro attività nei primi anni ‘90 con la certezza di andare un domani in pensione con il glorioso e munifico sistema retributivo ( pensione pari alle ultime retribuzioni ricevute) e si sono invece ritrovati a subire la riforma pensionistica del 1995 (riforma Dini) e passare ad un regime pensionistico misto, un po’ “retributivo” e molto “contributivo” ( pensione calcolata in base ai contributi versati). Non si può fare quindi completo affidamento sulla pensione obbligatoria che ci verrà assegnata un domani. Il nostro sistema previdenziale prevede infatti che i contributi versati ogni mese dai lavoratori di oggi vadano a sostenere chi è già in pensione. Ma con la popolazione che invecchia e la vertiginosa diminuzione dei giovani in grado di versare contributi, il modello non è più sostenibile.
Fanno rabbrividire infatti i dati inerenti il bilancio di previsione dell’INPS per il 2017, trasmessi con la solita competenza e trasparenza dal Presidente Tito Boeri al Consiglio di Indirizzo e Vigilanza, che tuttavia non lo ha ancora approvato. Iniziamo dalla gestione della cassa: nonostante l’aumento delle entrate, stimate in €uro 405,2 miliardi, le uscite crescono maggiormente, attestandosi in €uro 411,8 milioni, che produrrebbero un risultato economico di esercizio in deficit per €uro 6.1 miliardi. Se questo andamento gestionale verrà confermato, a fine 2017 si prevede un disavanzo patrimoniale di €uro 7,9 miliardi. L’organo di indirizzo e vigilanza dell’ente motiva la bocciatura sottolineando il mancato riscontro di risposte a problematiche già evidenziate, come l’evasione contributiva, la riscossione dei crediti e la gestione del patrimonio immobiliare. Sulla stampa vari esponenti del mondo politico gettano acqua sul fuoco, ricordando che le prestazioni pensionistiche sono garantite dallo Stato. Tanto è vero che i trasferimenti dal bilancio pubblico nazionale all’INPS continuano ad aumentare (sfiorano i €uro 110 miliardi, dato più aggiornato del 2017).
Ma fino a quando può durare? Nel bilancio INPS, oltre ad una gestione di cassa negativa, spicca l’ammontare dei crediti da contributi (ancora da incassare), pari a €uro 109,7 miliardi. Ma non tutti questi crediti saranno incassati: il 54% degli stessi (59,5 miliardi di euro) sono catalogati come “crediti non performanti”, risorse cioè di cui si attende una dubbia o difficoltosa riscossione. Collocando la situazione lungo uno spettro temporale più ampio, si calcola che il deterioramento cumulato del valore patrimoniale dell’Istituto potrebbe raggiungere €uro 50 miliardi nei prossimi 5 anni. Considerando che la spesa pensionistica incide per il 16% del PIL, la preoccupazione reale non deve rivolgersi tanto alla solvibilità dell’ente, ma quanto sulla sostenibilità dei conti del Tesoro.
E’ opportuno aumentare la consapevolezza dei cittadini rispetto a queste tematiche e tenere alta l’attenzione mediatica per chiedere al legislatore interventi di cura risolutiva, onde evitare profonde crisi di sistema. Ma soprattutto il cittadino deve rendersi conto che ormai il ricorso alla “previdenza complementare” e’ inevitabile! Affinché però ognuno riesca garantirsi una certa tranquillità economica una volta cessata l’attività lavorativa, conviene correre ai ripari (e farlo alla svelta), optando per una soluzione di risparmio previdenziale complementare. Come sceglierla? Ne esistono di diversi tipi, ognuna con i suoi pro e i suoi contro. E’ una vera e propria giungla in cui la fanno da padrone, oltre alle compagnie di assicurazioni, banche e reti di promotori finanziari.