By: gestione
Rischio banca = rischio Paese = rischio sistema
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore tratto dal Roma Te lo avevo detto! Una frase fastidiosa, ogni volta che me la sento dire mi sale la rabbia. Poi però penso un attimo e mi rendo conto che anche io l’ho ripetuta qualche volta. Non so perchè ma è una frase che ognuno di noi dice almeno una volta nella sua vita! È quasi impossibile resistere quando sei convinto di aver ragione e allora ti viene naturale dire «te lo avevo detto io!». Chi si trattiene deve fare davvero una gran fatica!E nel caso di Mps non ho fatto nessuna fatica, né mi sono permesso di “avvertire”, così come fece Tom Cruise con Cameron Diaz, con metafore o iperboli. Ora è inutile pensare al passato: ve lo avevo detto! E allora parliamo chiaro dello scenario futuro! Ora è inevitabile l’intervento dello Stato. Cosa accadrà?
Dal 2013 l’Ue vieta agli Stati di risolvere le crisi bancarie senza prima accollare una parte dei costi ai creditori degli istituti. Con due modalità:
– se la banca non è in dissesto, con un intervento “precauzionale”: il Burden Sharing, che stabilisce che, se lo Stato ci mette i soldi, gli azionisti perdono tutto e almeno gli obbligazionisti subordinati devono contribuire, possibilmente con una conversione forzata dei bond in azioni ma a un rapporto di cambio inferiore a quello offerto dalla banca che darà azioni per un controvalore compreso tra l’85% e il 100% del valore nominale delle obbligazioni. Poi lo Stato può risarcire i piccoli risparmiatori (forse all’80%) sempre che dimostrino (onere della prova a carico del risparmiatore) che quel titolo non era coerente con il proprio profilo di rischio;
– se la banca è in dissesto si applica il “bail-in” previsto da una direttiva del 2014: il conto del dissesto viene scaricato, in base al capitale necessario, prima sugli azionisti, poi sugli obbligazionisti (subordinati in primis e poi i senior) e se necessario perfino sui depositanti sopra la soglia dei 100.000 euro garantiti (e solo per la parte eccedente i 100.000 euro). Questi risparmiatori perdono tutto! In entrambi i casi i risparmiatori saranno felicissimi.
Ma proviamo ad immaginare un altro scenario. Se lo Stato mette i soldi in Mps e diventa azionista di riferimento della banca, deve pretendere dall’azienda dividendi (e quindi utili) necessari per poter ripagare i titoli di debito pubblico che dovrà emettere a tassi appetibili dal mercato. Premesso, a tal proposito, che nessuna banca in crisi finora ha stabilito un piano strategico da cui si evincano le politiche commerciali per recuperare la fiducia dei clienti e ritornare a fare ricavi, faccio fatica a pensare (la storia economica del nostro Paese ce lo insegna) che lo Stato possa diventare all’improvviso uno stakeholder esigente e pressante. Un azionista capace di scegliere il miglior management senza influenze partitiche. Un azionista che suggerisca impopolari politiche di riduzione del personale (anche il popolo dei bancari vota). Ma soprattutto un azionista capace di attrarre fondi dagli investitori istituzionali (il fondo del Qatar è scappato!) perché, equazione semplice, per questi ultimi il rischio banca si trasforma in rischio Paese! Ecco il vero terremoto: l’Italia ha un rating, secondo S&Poor’s, pari a BBB-, che, in termini comparativi (cfr. tabella), non invoglia certo a investire nel nostro Paese. Ma non è tutto! Se l’aumento di capitale di Mps (solo 5 miliardi) è fallito perché il risparmiatore non ha più fiducia nel sistema bancario, allora diventerà ancora più difficile per UniCredit raccoglierne 13 di miliardi! E sicuramente nessun investitore istituzionale avrà intenzione di rischiare nel Paese che aumenta il suo debito pubblico per salvare le banche! E allora quel rischio Paese si trasformerà in rischio sistema! Ipse dixit. Buon anno!