By: gestione
Se la banca ammette di essere usuraia
Come dovrebbero difendersi i piccoli imprenditori
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore pubblicato su il Roma.
Il diavolo è nei dettagli, si dice. E uno dei “dettagli” diabolici usati dalle banche si chiama violenza psicologica. Quella utilizzata nei confronti del piccolo imprenditore che ha ricevuto (o ha richiesto) un fido (prestito) per la gestione della sua azienda. In Italia esistono circa 5 milioni di piccole imprese dietro le quali ci sono altrettante famiglie. Più di un terzo della popolazione del nostro Paese ruota intorno all’economia generata da queste aziende. Come nella più scellerata tradizione degli scandali finanziari, le banche hanno prima sfruttato i piccoli imprenditori per far lievitare i propri rendiconti, poi, quando non servivano più, li hanno sacrificati sull’altare del profitto. Così, per preservare il sistema e non saltare in aria a causa dei loro bilanci alterati e distrutti dalle previsioni di perdite sui crediti “difficili da riscuotere” (Npl), gli istituti hanno modificato la strategia. Da offensiva a difensiva. Una volta messa in atto la “stretta del credito”, che sta uccidendo la stragrande maggioranza delle aziende, a cui sono stati chiusi i rubinetti della liquidità, le banche stanno tentando di recuperare il più possibile di quanto prestato agli imprenditori. Pur essendo consapevoli che probabilmente, invece che incassare, dovrebbero restituire. La legge tutela l’imprenditore ma l’imprenditore è pigro, non vuole pensare, non vuole sapere, non vuole reagire. Abbiamo tanto parlato su queste colonne delle tecniche utilizzate dagli istituti per “recuperare” con l’inganno ciò che il piccolo imprenditore non possiede. Così come abbiamo più volte sottolineato come la consulenza per difendersi dagli abusi sia inesperta e poco preparata al riguardo, quando non connivente. Un caso emblematico risiede ormai nella convinzione, da parte della “consulenza classica”, che le banca abbiano perpetrato solo ed esclusivamente il reato di usura e/o di anatocismo. Ma soprattutto si sta maturando nell’immaginario collettivo la convinzione che per richiedere la restituzione di quanto dovuto basti fare una semplice operazione di sottrazione. Ti doveva 100 euro, ci sono 30 euro di interessi usurai e/o anatocisti e quindi te ne devo restituire solo 70. Grazie a un tasso di qua, a una commissione di là, a un servizio piazzato al momento giusto, a un interesse aumentato unilateralmente, spesso e volentieri la banca supera il cosiddetto tasso soglia e chi se ne accorge può farle sputare sangue. Addirittura “una grande banca” ha anche ammesso di essere stata usuraia, promettendo di rettificare l’errore “di natura tecnica” e di liquidare le competenze in maniera corretta. Premesso che il piccolo imprenditore in questione aspetta ancora quella sistemazione, ma ci rendiamo conto della gravità della situazione? Qui c’è una banca di sistema (tralaltro vicina al fallimento) che ammette di essere stata usuraia e vuole rimediare semplicemente restituendo il maltolto. La tendenza a conciliare, da parte dell’istituto, equivale a una confessione. Sembra paradossale, ma è come se al ladro che ha ammesso di aver rubato si concedesse solo la possibilità di restituire la refurtiva, senza alcuna pena. E cosa fa l’imprenditore consigliato male? Si accontenta di quei pochi spicci senza andare a fondo e studiare una strategia difensiva per far “pagare la pena alla banca”. E qui, oltre alla restituzione di quanto non dovuto (che di solito si recupera attraverso una azione di accertamento negativo del debito di natura civilistica), si configura il reato penale di usura che, quando colpisce l’imprenditore, prevede la reclusione fino a 10 anni di carcere. E allora è il caso di negoziare con la banca qualcosa di diverso e più corposo rispetto a ciò che emerge dalla semplice operazione aritmetica di sottrazione? È il caso di paventare agli istituti di credito il ricorso ad una denuncia ad un pubblico ministero se non ci si accorda su cifre diverse che “compensino” gli eventuali 10 anni di carcere?