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Unicredit, il nuovo ad non basterà: l’inefficienza è a valle
Tratto da Lettera 43
La confusione, l’indecisione, la mancanza di una visione strategica rappresentano la rovina di una gestione aziendale: meglio fare una scelta sbagliata e poi correggerla sulla base del feedback ricevuto dal mercato che non farla proprio.
È quanto sta accadendo in Unicredit, l’unica banca “sistemica” del nostro Paese che solo a febbraio, tramite il suo presidente Giuseppe Vita, faceva sapere che «il cda ha espresso all’unanimità la sua piena fiducia all’amministratore delegato e il convinto supporto al suo operato».
L’ASSENZA DI PROGRAMMAZIONE. Appena le agenzie diffusero la nota, il titolo di Unicredit crollò ai minimi della giornata, 2,884 euro, in ribasso del 5,7%.
Traduzione: la Borsa sperava che Federico Ghizzoni se ne andasse presto e si aspettava qualche segnale di cambio imminente.
Passati tre mesi, l’amministratore delegato è stato cacciato, senza alcuna vera spiegazione.
Non solo. La più grande banca del Paese dimette il suo ad (per inefficienza) e non programma la successione (si sono presi 15 giorni per decidere).
I DUBBI DEL MERCATO. Dallo scoppio della crisi Lehman Brothers gli italiani, per Unicredit, hanno già dovuto aprire il portafogli tre volte (3 miliardi nel 2008, 4 nel 2009 e 7,5 nel 2011) per un totale di 14,5 miliardi di euro.
Ma i risparmiatori questa volta difficilmente saranno convinti, anche perché la leva del credito non è la stessa degli anni scorsi. E noi ne abbiamo parlato in tempi non sospetti.
Certo, cambiare un amministratore delegato che ha fatto crollare del 75% il valore del titolo era necessario.
Ma per troppo tempo ci è stato riferito che era tutto sotto controllo. Il mercato ha ritenuto poco credibile il piano industriale presentato a novembre (e il titolo ha perso un ulteriore 43%), ma soprattutto l’indice patrimoniale di solidità Cet1 è di appena 35 basis point superiore alla soglia critica (10,50).
POLITICHE COMMERCIALI ERRATE. Quindi ora occorre andare oltre il cambio al vertice. Chi conosce questa banca sa che la vera inefficienza gestionale sta a valle dell’ad, e soprattutto nel management della divisione Italia.
Se si entra infatti nei meandri del bilancio di gruppo, si scopre che i risultati reddituali positivi vengono fatti essenzialmente all’estero e nell’investment banking, mentre il buco arriva proprio dalla divisione Italia dove il management è sempre lo stesso dal 2003.
Le errate politiche commerciali e creditizie sono state progettate e gestite dalle stesse persone che oggi vorrebbero, attraverso nuovi business (che nulla hanno a che fare con la banca tradizionale), traghettare l’istituto fuori dal guado.
Il cambiamento passa anche dalla catena di trasmissione operativa in Italia.