By: gestione
Benzina e regali, il banchiere ricatta l’imprenditore
Tratto da Lettera 43
Direttore: «Pieno?»
Alberto: «Ok, credo di sì. Le gomme?»
Direttore: «Le gomme la settimana prossima».
Alberto: «Meglio».
Direttore: «Il pieno dobbiamo farlo comunque».
Quello che avete appena letto non è uno scambio di battute tra due amici di vecchia data, ma una singolare conversazione, per usare un eufemismo, avvenuta su WhatsApp (e depositata, come tutte le altre, con denuncia al tribunale di Santa Maria Capua Vetere) tra un piccolo imprenditore e il direttore della sua banca, tra i quali non ci sono mai stati rapporti al di fuori di quelli professionali.
DELIRI DI ONNIPOTENZA. Un classico esempio dei deliri di onnipotenza che spesso pervadono la mente dei manager bancari, ma anche un archetipo delle valutazioni errate fatte dalle stesse in merito alle dinamiche creditizie.
Alberto è un imprenditore di neanche 40 anni che vive a Mondragone, in provincia di Caserta.
Un uomo dinamico, titolare di una stazione di rifornimento e un cliente virtuoso di un noto istituto di credito italiano.
«Fino al gennaio del 2014 in quella banca avevo 25 mila euro tra titoli e polizze assicurative e risultavo essere un cliente “sicuro”, uno di quelli che non aveva mai avuto segnalazioni o problemi per mancato pagamento di rate di mutuo o per essere andato oltre il limite del mio fido di conto corrente», racconta Alberto quando, disperato, mi chiede di incontrarlo per avere una consulenza e per capire, soprattutto, come non fallire avendo una famiglia da mantenere.
PRESTITO SENZA CONTRATTO. «Sempre a gennaio di quell’anno mi capita tra le mani la possibilità di rilevare una pompa di benzina, la seconda, poiché in precedenza ne avevo già presa una in gestione, ottenendo buoni profitti. Come è prassi in queste occasioni», prosegue, «mi rivolgo al direttore della mia agenzia per richiedere un prestito» che viene concesso senza però «rilasciare un valido contratto dal quale risultasse il periodo di restituzione del denaro e i tassi applicati».
Alberto, dunque, vuole lanciarsi in un nuovo progetto imprenditoriale; per la gestione dell’altro distributore, però, pesa sulle proprie spalle già un finanziamento di 15 mila euro, richiesto allo stesso istituto per cui paga «una rata mensile di 300 euro» a cui si aggiunge «un mutuo per l’acquisto della prima casa, acceso sempre in quello sportello, per il quale ne verso altri 500 euro ogni 30 giorni».
Al momento della richiesta, condizione ben conosciuta dalla banca, il reddito certo dell’imprenditore è di soli 10 mila euro annui.
Quei fondi europei negati
Per non gravare troppo sulle sue entrate mensili, Alberto sceglie di seguire una strategia più cauta: consegna alla banca «la documentazione attestante il reddito al fine di riuscire ad accedere ai cosiddetti “fondi europei per prestiti agevolati per il finanziamento alle imprese”. Una richiesta più coerente, ma che non viene presa in considerazione. Il direttore, infatti, continua a rassicurarmi, invitandomi ad acquistare immediatamente la stazione di servizio, fornendomi capitale per circa 40 mila euro».
Al piccolo imprenditore, quindi, la banca sconsiglia di accedere ai fondi specifici per le start up, facendolo esporre oltre le sue possibilità.
Ma il peggio deve ancora accadere. Il debito, scoprirà, dovrà essere rimborsato in cinque anni con rate mensili di 1.098 euro.
«Mi ero fidato della proposta del direttore: in qualche modo lui mi aveva garantito, anche se solo a parole, che mi sarebbe convenuto seguire questa strada e non quella dei fondi europei, però poi a conti fatti la spesa era insostenibile».
DISSESTO DIETRO L’ANGOLO. La banca, dunque, sarà responsabile delle conseguenze del dissesto provocato dall’esercizio di un potere discrezionale e tecnicamente errato nella concessione del credito.
Passa qualche mese, infatti, e l’attività di Alberto non decolla, non porta i risultati sperati, assai distanti da quelli dell’altro distributore.
Per prima cosa fa presente all’istituto di non riuscire a versare l’intera somma ogni 30 giorni: «Era la prima volta in vita mia che non riuscivo a onorare un debito».
Il direttore risponde che non c’è problema, che avrebbe autorizzato l’accensione di un nuovo mutuo, più lungo, per abbattere il costo della rata basandosi sulle garanzie dell’immobile (la casa in cui il ragazzo vive con i suoi familiari) già ipotecato.
OLTRE IL DANNO, LA BEFFA. Un secondo mutuo che, come un fulmine a ciel sereno, viene però respinto. E indovinate perché?
«Il mio reddito era troppo basso», racconta Alberto, «esattamente per lo stesso motivo che avevo fatto presente all’inizio della pratica e per il quale avevo suggerito una strada alternativa».
Oltre il danno, la beffa. «A quel punto il vice direttore della banca (non più il direttore, ndr) mi informa che le aziende in difficoltà possono accedere a dei fondi di garanzia europei per le aziende in crisi».
Avete capito bene, Alberto non è impazzito: la soluzione per scaricare il cliente è la stessa che la banca ha cercato di scongiurare appena qualche mese prima perché meno conveniente per i propri profitti.
Per quanto la situazione sia ormai paradossale, tempo da perdere non ce n’è, come non ce n’è per litigare: l’imprenditore non avendo alternative per salvare l’azienda il 3 ottobre 2014 presenta alla banca la domanda.
Neanche un 25% di prestito
Pochi giorni e arriva una buona notizia: «Ho fatto finta di nulla, ho accettato il loro ennesimo consiglio e fortunatamente la richiesta mi è stata accolta. Ho avuto accesso a questo fondo di cui il 75% era messo a disposizione dallo Stato e il 25% dalla banca in questione».
Se pensate a un lieto fine toglietevelo dalla testa: con le banche la tragedia si consuma fino in fondo.
Sebbene l’istituto si fosse sgravato di un bel peso, ciò non basta: «Con una chiamata al limite della schizofrenia mi fanno sapere che “nonostante il nulla osta del ministero per lo Sviluppo economico, l’istituto nega l’approvazione della pratica”», dice ancora esterrefatto Alberto nel mio ufficio di piazza Bovio.
«La banca senza remore ammette che ha paura che io non sia in grado di onorare anche solo quel 25% di prestito. Una considerazione fatta in virtù dei miei affari che in quel momento certo non brillavano. E qualsiasi tipo di raccomandazione a riguardo non è servita. Avevo pianificato importanti investimenti, ma non c’è stato nulla da fare».
INTERESSI DA STROZZINAGGIO. Per capire che tipo di imprenditore sia Alberto è utile sapere che in precedenza, sempre in quella banca e con il solito direttore improvvisamente volatilizzato, gli era stato concesso anche un fido – con tassi di interessi da strozzinaggio – per uno scoperto di conto corrente di 20 mila a cui si aggiungevano dei “fuori fido” (approvati sempre dal solito direttore) per l’acquisto di carburante in occasione delle varie campagne di incentivazione disposte dalle società petrolifere.
«In alcuni periodi dell’anno ci proponevano di acquistare a prezzi vantaggiosi la benzina a condizione però che i quantitativi fossero maggiori di quelli abituali. Facendo presente questa opportunità alla banca mi sentivo sempre rispondere “compra pure, ti facciamo utilizzare il fido fino a 32 mila euro di scoperto”».
Su questi “fuori fido”, appunto, di 12 mila euro, venivano applicate delle penali (oltre agli interessi) di 80 euro per ogni giorno di ritardo nella restituzione.
«TUTTO PER ESTORCERMI SOLDI». «Alla fine dei giochi ho capito che tutte queste agevolazioni concesse dal direttore erano per estorcermi denaro. Mi venivano applicati tassi di interesse sconosciuti, soluzioni fittizie che non facevano altro che indebitarmi ulteriormente. E io mi fidavo», conclude Alberto.
Le “finte” agevolazioni non hanno fruttato solo alla banca, ma anche allo stesso direttore, nella sua veste di normale cittadino.
Questo lo si evince dagli estratti delle conversazioni via WhatsApp portati in procura.
«Sono le uniche che sono riuscito a recuperare, risalta subito come caricavo frequentemente punti benzina dietro sue pressioni; dietro velate minacce, apparentemente ironiche, di non rinnovarmi i fidi. Molto spesso gli caricavo, sulla sua carta, dei buoni carburante da un minimo di 80 fino a 200 euro alla volta. Incassava dei soldi utilizzando la sua posizione e il suo status; otteneva da me dei benefici personali. Io sono stato accondiscendente perché altrimenti, me lo faceva capire, non avrei avuto credito. Ho esaudito ogni suo desiderio, perfino regalare una mountain bike alla figlia», prosegue nel suo racconto-denuncia Alberto.
IL DIRETTORE SPARISCE, ARRIVA IL VICE. «Quando poi a novembre 2014 mi ha bloccato i fidi sono incappato in un complicato periodo di crisi finanziaria, da cui ho tentato di risollevarmi mettendo in vendita la casa di proprietà sulla quale grava ancora un mutuo ipotecario: a oggi non ho ancora trovato un acquirente. A marzo 2015 stremato dalle pressioni delle banche mi sono affidato a uno studio di consulenza specializzato sperando di avere giustizia».
Da quel momento per l’imprenditore si apre il baratro descritto appena sopra.
Il direttore lascia l’incombenza al suo vice, che almeno non si permette di chiedere favori personali. Si limita soltanto a traghettare l’ennesimo piccolo imprenditore verso il collasso, colpevole di essersi fidato troppo della propria banca.
Il carteggio
Queste le prove delle richieste. Il 19 febbraio del 2014 i due scrivono riguardo un regalo:
Alberto: «È piaciuta la mountain bike?»
Direttore: «Bella, molto».
Il 20 aprile 2014 si parla invece di carburante.
Direttore: «Oggi ti vieni a prendere la macchina? Pieno».
Alberto: «Buongiorno direttore, appena mi scaricano».
Direttore:«Sto a zero (carburante, ndr)».
Alberto: «Ok, vediamo se sblocchiamo qualcosa».
Direttore: «Ti aspetto».
Alberto: «Ok».
Il 25 aprile 2014 il direttore ha qualcosa da recriminare e lo fa in modo ironico.
Direttore: «Sei tu un grande, ho fatto il cattivo? Solo 60 euro anziché 150… Altrimenti ti blocco la carta di versamento (seguono smile)».
Alberto:«È la peggiore delle minacce».
Direttore: «smile».
Alberto: «Ahahahahahah».
16 maggio 2014 si chatta riguardo a delle ruote.
Direttore: «Novità ruote?».
Alberto: «Dire, adesso ci passo, sono vicino e vi informo».
Direttore: «Grande».
Il giorno successivo il direttore torna a insistere sugli pneumatici.
Direttore: «Ritirate le ruote? Se non lo hai fatto ancora, desisto, prendo quelle di mio fratello…».
Alberto: «Sicuro?».
Direttore: «Se non le hai prese sì».
Alberto: «Dovrei vedere se sono arrivate».
Direttore: «Mi hanno fatto notare che le mie sono nettamente superiori».
Alberto: «E certo, senza dubbi».
Direttore: «Però, se hai preso impegni, stai tranquillo, le prendo comunque».
Alberto: «Sono ruote da 1000 €, ok, vedo e vi chiamo, ok?».
Direttore: «Fammi sapere, grazie, ok».
Alberto: «Dire, sono con lui adesso e mi dice che sono in consegna mercoledì pomeriggio».
Direttore: «Se non possiamo rifiutarle le prendo lo stesso, vedi tu…».
Alberto: «No vedo se posso annullare l’ordine».
Direttore: «Alberto, stai tranquillo. Quello che si può fare. Altrimenti le prendiamolo stesso».
Alberto: «Fra 4 minuti lo chiamo, ok».
Direttore: «Brutte figure non ne faccio io e, soprattutto, non ne farò fare mai a te che sei un amico. Vero!».
Alberto: «Grazie».
Alberto: «Dir, datemi la carta».
Direttore: «Non ho pagato!!!!!!».
Il 3 giugno 2014 le richieste del direttore sono esplicite.
Direttore: «Domani mattina alle 8 ti porto la macchina di mia moglie per lavaggio e scrostaggio, bisogna cambiare le spazzole, mi accompagni tu a lavoro? La ritiro poi alle 5».
L’8 luglio 2014 torna in scena una bicicletta con velate allusioni da parte del direttore.
Direttore: «Alberto per la bici?? Se prendessi, anch’io, i tuoi tempi per le risposte… [lumaca] [lumaca]
[lumaca]».
Il 9 luglio il direttore comunica al cliente delle buone notizie sul fronte bancario.
Direttore: «Dello sconto sul tasso non mi hai detto niente? Fetente».
Alberto: «Che cosa? Ho fatto qualche errore?».
Direttore: «Condizioni accettate…».
Alberto: «Azz, teniamo le qualità».
Direttore: «Adesso tocca a te».
Il 26 agosto del 2014 si parla dei buoni benzina e dei premi.
Direttore: «I buoni li scarichiamo venerdì».
Alberto: «Eccomi».
Direttore: «Immagine: regalo punti Erg mini frigo-63100 punti».
Direttore: «Dobbiamo iniziare a impegnarci».
Alberto: «Da buon intenditore!!!».
Direttore: «Vedi un po’ tu. Mi sa che tutti i giorni dobbiamo caricare 150…».
Alberto: «Azz, e nabott, ma quanto vale €?».
Direttore: «200 circa, iniziamo? Sto aspettando, ci siamo?».
Alberto: «Dir, sono a casa con il muratore a mettere la guaina appena vado lì vi chiamo state tranquillissimo».
Direttore: «[pulcino] se se…».
Alberto: «Dir, eccomi, ci siamo? Se se, società autostrade stiamo lavorando per voi!!!».
Direttore: «Ecco!».
Alberto: «Foto scontrino: sconto carburante 1,60, punti 470, minuti Erg mobile 158».
Il 5 settembre 2014 vai con il pieno.
Direttore: «Oggi pieno?».
Alberto: «Habemus».
Il giorno dopo si ricaricano i punti.
Direttore: «Sabato ci riposiamo o carichiamo?».
Alberto: «Tra cinque min, adesso son nel lavaggio».
Direttore: «Ok, ci siamo?».
Il 29 settembre del 2014 serve il carburante.
Direttore: «Abbiamo Gasolio?».
Alberto: «Domani… altro scarico Total».
Il 3 ottobre 2014 torna a messaggiare di lavoro con le rassicurazioni del capo.
Alberto: «Dire, mi è arrivata questa sulla Pec. Immagine pec: “Acquista domanda di ammissione al fondo di garanzia […]»
Direttore: «Stiamo lavorando per te».
Alberto: «Grazie».
16 ottobre 2014 il “boss” è alquanto esplicito e sbrigativo.
Direttore: «Oggi ti vieni a prendere la macchina?».
Il 6 novembre 2014 è l’ultimo scambio via WhatsApp prima della bocciatura della pratica di Alberto.
Direttore: «Pieno?».
Alberto: «Ok».
Direttore: «Aspetto».
Alberto: «A che ora andate via oggi?».
Direttore: «16».
Alberto: «Direttore, buonasera, scusatemi se parlo di lavoro fuori orario… se proponiamo un aumento di fido fino alla scadenza, ansia a manetta».
Direttore: «Domani vediamo, non ti preoccupare di orari».
Alberto: «Infatti, grazie ancora».
Da quel momento per l’imprenditore si apre il baratro descritto sopra.