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Calcolo del TEG, scopriamolo insieme..
Contributo del Prof. Carmine Ruggiero, docente di diritto bancario alla facolta di Giurisprudenza Federico II di Napoli e partner di InMind Consulting
Carissimi, in merito alle recenti sentenze circa le voci di costo del finanziamento da includere nel calcolo del tasso annuo effettivo globale, devo evidenziarvi che la recente sentenza del Tribunale di Pescara del 28 novembre 2014 ha introdotto due importanti e innovativi principi in materia di usura bancaria. Il primo in relazione all’estensione della casistica delle voci di costo da includere nel calcolo del TEG ed il secondo in relazione alla modalità di calcolo di quest’ultimo.
Quanto al primo principio, l’ordinanza sostiene che debba essere incluso nel calcolo del TEG anche il costo che il mutuatario si impegna a corrispondere alla banca in caso di risoluzione unilaterale e anticipata del contratto di finanziamento, con restituzione del capitale residuo.
Quanto al secondo principio, il Tribunale abruzzese stabilisce che per la verifica del rispetto del tasso soglia al momento della stipula del contratto occorrerebbe calcolare il TEG anche sotto ipotesi. In particolare, occorre stabilire quale possa essere il costo complessivo dell’operazione di finanziamento, anche nella peggiore delle ipotesi possibili (ovvero quella economicamente più svantaggiosa per il mutuatario).
Per compiere un’accurata esegesi dell’ordinanza in commento, occorre precipuamente stabilire quale natura giuridica rivesta il costo per l’estinzione anticipata.
Il legislatore disciplina l’estinzione anticipata, in varie disposizioni del testo unico bancario (TUB), senza peraltro cogliere mai a pieno nel segno. In particolare, la normativa specialistica conferisce a tale voce di costo ora la natura di compenso, ora quella di indennizzo e, infine, anche quella di penale. Nell’ambito del credito fondiario, il legislatore definisce tale voce di costo come un compenso (omnicomprensivo) che il mutuatario riconosce all’Istituto di Credito, a fronte del diritto ad esercitare il recesso anticipato dal contratto, con rimborso del capitale residuo (cfr articolo 40, primo comma del TUB).
Sempre nel TUB, ma con riferimento al credito al consumo, a tale voce di costo è conferita la natura di indennizzo (cfr articolo 125-sexies, 2° comma TUB). Com’è noto, l’indennizzo mira a ristorare il sacrificio dell’interesse altrui ed assolve la funzione riparatoria del pregiudizio arrecato al patrimonio del danneggiato, a prescindere da ogni indagine sulla colpevolezza, tipica invece della clausola penale, dalla quale pertanto si distingue.
Infine, nell’ambito della disciplina dei mutui finalizzati all’acquisto e/o alla ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazioni ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche (articolo 120-ter, 1°comma TUB), il legislatore ritratta quanto appena stabilito affermando timidamente che l’estinzione anticipata potrebbe rivestire sia la natura di compenso, sia quella di penale e, comunque, di ogni altra prestazione. Si tratta, insomma, di un compenso che fronteggia la solutio ante diem. Da parte sua, la stessa giurisprudenza non è riuscita a superare tale confusione normativa, emettendo pronunce spesso in aperto contrasto le une con le altre.
A tal proposito, la citata ordinanza del Tribunale di Pescara stabilisce che “… in termini elastici la mora e la penale per estinzione anticipata possono essere tra loro accumunate, in quanto entrambe rappresentano un costo del mutuo erogato”. Il Tribunale di Pescara ha preso posizione sulla natura giuridica di tale voce di costo del finanziamento definendola “…penale per estinzione anticipata” ed accumunandola agli interessi di mora che, com’e’ noto, la giurisprudenza ha già da tempo pacificamente equiparato a clausole penali. La previsione contrattuale che disciplina tale voce di costo altro non sarebbe che una clausola penale e costituirebbe il risarcimento del danno subito dalla banca in conseguenza dell’inadempimento contrattuale del mutuatario. Tale inadempimento sembrerebbe riconducibile – pur nel silenzio dell’ordinanza de qua – alla violazione del piano di ammortamento pattuito al momento della concessione della linea di credito; pertanto, la “penale di estinzione anticipata” andrebbe a risarcire il danno subito dall’Istituto di Credito, in conseguenza del mancato introito degli interessi corrispettivi/commissioni/oneri non ancora maturati e dunque inesigibili.
La tesi sostenuta dal Tribunale di Pescara è condivisa da una nutrita e recente giurisprudenza.
Tuttavia, tale interpretazione non è univoca. Infatti, sia alcune pronunce giurisprudenziali sia alcuni autorevoli interpreti hanno conferito a tale voce di costo una natura giuridica completamente differente. A mente di questo diverso orientamento, essa costituirebbe una multa penitenziale ex art. 1373 c.c., ovvero la remunerazione che il mutuatario si impegna a riconoscere a favore dell’Istituto di Credito per l’esercizio del diritto di recesso (cd. prezzo del recesso).
In dottrina c’è anche una tesi (minoritaria) di chi assume una posizione intermedia per cui tale voce di costo avrebbe “…una natura composita sia di multa penitenziale sia di clausola penale in quanto se da un lato, è vero che il recesso anticipato dal mutuatario è una facoltà prevista dall’art. 1373 c.c., tuttavia, al contempo l’esercizio di tale facoltà costituisce anche un inadempimento all’obbligo di non restituire ante tempus (per il mutuatario) e di richiedere ante tempus (per il mutuante)…” . La distinzione sulla natura giuridica del costo per l’estinzione anticipata del finanziamento non è speciosa. Infatti, per una parte della giurisprudenza, suffragata da autorevole dottrina, gli interessi moratori – e più in generale le clausole penali – non rileverebbero ai fini della verifica sul rispetto della normativa antiusura, in quanto svolgerebbero una funzione risarcitoria e, dunque, ontologicamente differente da quella degli interessi corrispettivi. Questi ultimi sono volti a remunerare il mutuante per il finanziamento concesso.
Tale orientamento si pone però in contrasto con quanto recentemente stabilito dalla Corte di Cassazione nella ormai celebre sentenza n. 350/13, la quale, confermando un principio ormai consolidato, ha stabilito che anche gli interessi moratori rilevano ai fini della verifica dell’usura della linea di credito concessa.
Anche in questo caso, la conseguenza non è banale. Infatti, se tale voce di costo costituisse un compenso, questo dovrebbe essere ricondotto alla disciplina della multa penitenziale ex art. 1373 c.c. e sarebbe sottratto alla disciplina di cui all’art. 1384 c.c., in materia di riduzione sub iudice della penale per manifesta eccessività.
In verità, l’obiter in commento supera tale problematica attribuendo agli interessi risarcitori e a quelli corrispettivi pari dignità ai fini della verifica del rispetto della normativa antiusura. In particolare, per il Tribunale abruzzese “…la mora e la penale di estinzione anticipata possono essere tra loro accumunate in quanto entrambe rappresentano un costo del mutuo erogato, seppur solo incerto e potenziale circa il verificarsi in concreto”.
Il principio non è di poco conto.
Infatti, a mente dell’ordinanza in questione, per verificare se il finanziamento concesso rispetti la normativa antiusura al momento della stipula, occorre procedere con un’indagine nelle diverse ipotesi di esecuzione fisiologica e/o patologica del contratto. In buona sostanza dovrà analizzarsi il costo complessivo, anche solo potenziale, dello stesso finanziamento. L’archetipo del contratto di finanziamento sottoposto dalla banca al cliente non può pertanto prevedere modalità di esecuzione del contratto che determinino un costo per il mutuatario la cui espressione in termini di tasso effettivo globale possa essere in concreto superiore al tasso soglia. Se ciò dovesse accadere le conseguenze sarebbero sia l’applicazione dell’articolo 1815, 2° comma c.c. sia l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato di usura di cui all’art. 644 c.p..
Alla medesima conclusione è giunto anche recentemente il Tribunale di Udine, fugando ogni dubbio in materia di verifica del rispetto della normativa anti usura. In particolare, il Tribunale friulano ha considerato rilevanti anche casi limite, quali il pagamento dell’intero finanziamento e degli interessi di mora maturati solo alla scadenza del piano di ammortamento.
Personalmente anch’io condivido tale orientamento giurisprudenziale che conferisce all’ente mutante una posizione di responsabilità per gli equilibri del mercato. Tale posizione di garanzia deriva dallo status di operatore professionale della banca che eroga il credito, proprio nell’ambito della propria attività istituzionale. Peraltro, il sistema bancario è oggi dotato di specifiche competenze e strumenti tecnologici all’avanguardia, che gestiscono algoritmi in grado di predisporre paradigmi contrattuali ben conformi alla vigente normativa antiusura.
In ogni caso, l’incertezza interpretativa della normativa vigente, unitamente ad una buona dose di diffidenza reciproca tra il ceto correntista ed il ceto bancario, hanno contribuito, in questi anni, ad aumentare in modo significativo il contenzioso in questo specifico ambito del diritto bancario. Pertanto, un deciso intervento del legislatore appare quanto mai auspicato, proprio nell’interesse delle parti coinvolte e nell’ottica di una pronta ripresa del sistema economico e finanziario del nostro paese.
Ruggiero & Associati
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