UniCredit e Stellantis: le scelte azzardate dei top manager vanno a discapito della solidità
9 Dicembre
Il mondo della finanza è strano e spesso paradossale, come dimostra la storia di UniCredit degli ultimi venti anni. L’acquisizione di Banco BPM da parte del gruppo creerebbe il secondo colosso italiano del credito, dopo Intesa Sanpaolo, e un campione europeo con 19 milioni di clienti. Ma per capire questa vicenda, non basta guardare l’ultima scena del film: bisogna ripercorrere i vent’anni di strategia e cambiamenti di leadership che hanno segnato UniCredit, un caso emblematico di gestione nelle grandi multinazionali.
Tutto ebbe inizio con Alessandro Profumo, amministratore delegato dal 1997 al 2010, che adottò una strategia aggressiva di espansione internazionale. UniCredit acquisì banche strategiche come HVB Group in Germania, Yapi Kredi in Turchia, Bank Pekao in Polonia, Bank of Austria e ATF Bank in Kazakistan. Queste operazioni fecero di UniCredit un attore di primo piano in Europa, con una rete diversificata e una forte presenza nei mercati emergenti. Tuttavia, l’espansione fu finanziata in parte con debiti, sostenuta dall’ipotesi di una crescita economica stabile che la crisi del 2008 avrebbe poi drammaticamente smentito. Le difficoltà operative e i costi elevati di integrazione divennero evidenti quando la crisi finanziaria globale e quella del debito sovrano europeo colpirono duramente UniCredit, lasciandola sovraesposta a mercati ad alto rischio come quelli dell’Europa orientale.
Nel 2010 Profumo si dimise, lasciando UniCredit con una liquidazione di 40 milioni di euro, di cui 2 devoluti in beneficenza. La guida passò a Federico Ghizzoni (2010-2016) e poi a Jean Pierre Mustier (2016-2021). Entrambi optarono per una strategia difensiva: massicci aumenti di capitale, cessione di asset strategici come Fineco, Pioneer e Bank Pekao, e una riduzione delle attività non core per concentrarsi sui mercati principali. Queste mosse, sebbene necessarie per ripristinare fiducia e liquidità, privarono UniCredit di redditi stabili e della diversificazione geografica nei mercati in crescita. Ghizzoni lasciò nel 2015 con una liquidazione di circa 10 milioni, mentre Mustier uscì nel 2020 senza liquidazioni straordinarie.
Con l’arrivo di Andrea Orcel nel 2021, UniCredit cambiò nuovamente strategia. Orcel sta adottando un approccio proattivo, esplorando acquisizioni come Banco BPM e Commerzbank per rafforzare la posizione europea di UniCredit e cercando di ampliare la base clienti (Orcel ha messo gli occhi anche su Anima Sgr, Agos e Numia). L’obiettivo è consolidare il gruppo, ma questo ritorno alle acquisizioni, come nel gioco dell’oca, riporta UniCredit al punto di partenza.
La storia di UniCredit evidenzia le criticità di una gestione caratterizzata da brevi mandati e ambizioni personali dei top manager. La permanenza media di un CEO in una grande banca (5 anni) è spesso limitata, e in questo tempo ristretto i manager cercano di lasciare il segno con operazioni straordinarie che, però, spesso ignorano le conseguenze a lungo termine.
La cultura della glorificazione dei top manager (anche da parte dei media), come dimostra la vicenda di Carlos Tavares in Stellantis, spesso spinge i leader a compiere scelte audaci e talvolta azzardate, finalizzate più a costruire la propria reputazione che a garantire la stabilità e la sostenibilità delle aziende che guidano. Queste operazioni straordinarie, celebrate come atti visionari, sembrano servire più a consolidare il “marchio personale” dei manager che a creare valore duraturo per l’azienda. La vicenda di Tavares, destinato a lasciare con una liquidazione di 100 milioni di euro, si collega direttamente a una dinamica ormai consolidata, dove i manager escono con indennità tali da garantire la sicurezza economica per generazioni, lasciando però alle organizzazioni il peso delle conseguenze delle loro scelte nel lungo termine. Questo stesso modello, evidente nella gestione dei vertici di UniCredit, sottolinea il rischio di privilegiare la spettacolarità rispetto alla solidità strategica.
In sintesi, UniCredit rappresenta un riflesso delle sfide del settore bancario globale, dove ambizioni e reattività si alternano senza una visione di lungo periodo ben definita. Mentre alcune scelte portano a successi straordinari, altre evidenziano il rischio di strategie sbilanciate, lasciando alla banca il difficile compito di dimostrare che le sue mosse attuali possano tradursi in valore duraturo e sostenibilità.