I morti di Torino: l’ennesima prova a favore del D. Lgs 231
La tragedia di Torino che ha prodotto la morte sul lavoro di tre operai per il crollo di una gru è solo l’ultima scena di un film visto tante volte. Sebbene sembri che in questa circostanza siano state rispettate le norme di sicurezza, ormai i morti sul lavoro avanzano al ritmo di 100 al mese ed il tasso di irregolarità nei controlli ordinari dell’Ispettorato nazionale del lavoro è del 70%.
Cosa si può fare in maniera preventiva per evitare poi le inutili lacrime?
Più volte su queste colonne abbiamo sottolineato che l’applicazione della disciplina del D. Lgs 231/2001 potrebbe essere un deterrente. Uno dei tanti provvedimenti dissuasivi, frenanti, inibitori che potrebbe, se la magistratura iniziasse a condannare le imprese in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, individuare concretamente l’effettiva responsabilità delle società per i reati previsti.
Ricordiamo il dettato legislativo: nel caso in cui un dipendente o un amministratore compia nello svolgimento delle sue funzioni un reato previsto dal decreto, vengono previste delle sanzioni di carattere amministrativo e penale anche per l’azienda nel caso in cui la stessa non abbia adottato procedure, protocolli e regolamenti previsti da un “modello organizzativo” che la esoneri dalle responsabilità.
Un testo normativo con una enorme falla: non prevede comunque la obbligatorietà dell’adeguamento del modello organizzativo di una piccola azienda ai dettami del d.lgs 231/2001.
Una situazione che fa scattare l’inevitabile domanda per l’imprenditore: “Perché dovrei farlo?”
Ma, indipendentemente dalle considerazioni dottrinali o formali, in che modo l’applicazione (obbligatoria) può incidere anche sul controllo preventivo degli infortuni e delle morti sul lavoro?
Facciamola semplice. Prendiamo in considerazione l’esempio di una azienda che operi nel settore delle analisi cliniche che abbia stabilito una “procedura per l’esecuzione del prelievo venoso e per la gestione dei trattamenti farmacologici da somministrare agli operatori in caso di infortunio a rischio biologico”.
Una procedura necessariamente da formalizzare all’interno di un modello organizzativo perché, in quel settore, gli infortuni a rischio biologico interessano circa il 10% del personale sanitario ed il 12% degli infortuni avvengono durante l’esecuzione del prelievo venoso.
La procedura, scritta e formalizzata a tutti i dipendenti gia’ formati in maniera specifica sulle modalità di prelievo, prevede che l’operatore debba fare una serie di operazioni bene definite cosi’ come indicate in foto:
La formalizzazione di una procedura non assicura però la sua applicazione.
Molto spesso si tratta di un puro esercizio teorico che non contribuisce alla riduzione del rischio.
Se non c’è un organo di controllo indipendente (così come previsto dal d.lgs 231/2001) che verifichi periodicamente la procedura tramite una check list che va a valutare alcuni punti critici, ad esempio se vengono indossati i guanti, o le modalità di smaltimento, è molto probabile che il numero degli infortuni non diminuisca perché, ad esempio, ci si accorge che c’è un alto turn over del personale infermieristico e elevati carichi di lavoro legati alla cronica mancanza di figure professionali di questo tipo in assistenza.
In tal caso l’Organismo di Vigilanza segnala l’inosservanza delle prescrizioni ed invita l’azienda a rimuoverne le cause.
Solo a questo punto, di fronte ad un eventuale ulteriore caso di infortunio, un giudice potrebbe non sanzionare la società.
Ma soprattutto un modello organizzativo 231 sarebbe un fondamentale strumento di prevenzione dei rischi in una piccola impresa dove la responsabilità è concentrata solitamente nelle quattro identità della stessa unica persona, il proprietario-imprenditore-manager-garante che molto spesso non ha la lucidità, quando in buona fede, per percepire in maniera consapevole il pericolo.