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Sistemi di rating obsoleti, ecco come le banche scelgono a chi fare credito
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore per Il Fatto Quotidiano
Crollo del pil (cioè della ricchezza prodotta ogni anno dall’economia), disoccupazione in aumento, salari fermi e costo della vita in crescita portano sempre più famiglie e imprese in tutta Italia nella condizione di non riuscire a far fronte ai debiti contratti con le banche.
Si stima che circa il 70% degli italiani che lavorano vivono sul filo di un rasoio economico: riescono a sostenere le spese correnti ma non hanno margini per assorbire i minimi imprevisti.
Non solo ma nel nostro paese esiste un problema di inclusione finanziaria: molti non possiedono i requisiti per accedere ai prestiti concessi da istituzioni legali e a tassi di mercato.
Si tratta di un problema che non è solo dei debitori (famiglie e imprese).
Sappiamo benissimo che in questi ultimi 10 anni si è trasformato anche in un problema dei creditori (cioè le banche) man mano che i prestiti non onorati (i cosiddetti “crediti deteriorati”) crescevano nel loro bilancio ma soprattutto per effetto della riduzione dei margini (guadagni) derivanti dalla attività oggi più redditizia di una impresa finanziaria che è quella di prestare denaro. Le banche non fanno più “impieghi”, devono accantonare perdite ed i loro conti economici ne risentono.
Il futuro rischia di essere ancora più nero di quello vissuto post 2008.
E’ venuto quindi il momento, per il bene di entrambi gli attori, di mettere mano alla revisione degli strumenti utilizzati dagli istituti finanziari per la concessione creditizia.
Nelle banche di piccole dimensioni le decisioni relative alla delibera di un finanziamento sono ancora affidate a impiegati e specialisti che valutano le richieste manualmente sulla base delle competenze e della conoscenza diretta dei richiedenti. Un sistema che, benché abbia prodotto meno danni di non performing loans (npl) rispetto alle banche grandi, risulta essere lento ed anacronistico.
Nelle banche di grandi e medie dimensioni i prestiti vengono, invece, deliberati o respinti sulla base delle risultanze di un sistema di credit-scoring.
Un modello di credit-scoring è il risultato di modelli statistici che, basandosi su alcune caratteristiche e informazioni sui richiedenti, permette ai creditori di distinguere tra un candidato buono e uno rischioso, fornendo al soggetto decisore una stima della probabilità di default (cioè che non restituisca il prestito) dello stesso. L’output del modello consiste in un punteggio, rating appunto, che, cosi come a scuola, determina la promozione o la bocciatura della richiesta.
Nel 1999, nel corso della mia esperienza in banca, ho partecipato personalmente al team-pilota di costruzione ed implementazione del primo sistema di scoring in Italia. Lo conosco bene.
Da allora non è cambiato nulla.
Ecco dove sta il problema: l’algoritmo valuta un richiedente un prestito sulla base degli stessi parametri di 20 anni fa.
Gli istituti finanziari del nostro paese, oggi, hanno accesso a dati organizzati in database vecchi e convenzionali. Si tratta delle solite informazioni quali data-credit history (la tua storia come debitore) e rating ottenuti in passato, documenti di identità, dati demografici, dati raccolti nei sondaggi pubblici e dati riguardo alle transazioni personali effettuate.
La preistoria. Urge innovare tecnologicamente le banche.
Le innovazioni tecnologiche permettono, infatti, l’utilizzo di altre forme di dati considerati nuovi per il fatto di non essere mai stati utilizzati prima in questi settori o perché non direttamente correlati nel nostro immaginario con l’utilizzo dei servizi che questi istituti offrono.
Si tratta infatti di informazioni anonimizzate estratte dalle attività compiute sui social media e sulle nuove piattaforme di moneta virtuale, informazioni riguardo le ricerche nei siti internet, così come riguardo le abitudini di shopping dei consumatori; cronologie dei pagamenti delle utenze, dati psicometrici, feedback sull’utilizzo di servizi di intrattenimento mobili, dispositivi collegati al cosiddetto internet delle cose, messaggi telefonici, mail, chat online, dati studiati dalle assicurazioni per determinare i rischi e stipulare le polizze.
E ancora informazioni relative ai tempi di spedizione e consegna scelti per gli acquisti, recensioni e lamentele dei clienti e altre simili.
Così come assume sempre più valore l’informazione relativa all’attribuzione di un rating di legalità alle imprese di cui parleremo nelle prossime settimane.
Tutte queste nuove tipologie di informazioni, insieme ai database pubblici dei tribunali, alle sentenze di bancarotta e agli account social, possono essere sfruttati e presi in considerazione nei big-data analytics per il credit scoring. Solo così possiamo permettere agli esperti di marketing di segmentare i clienti in base ai dati demografici, agli stili di vita e alle abitudini di acquisto e di pagamento.
Ed evitare di non concedere un prestito a chi ha solo una rata di un finanziamento non pagata da 90 giorni. E magari elargire milioni di euro ai palazzinari ed ai furbetti del quartierino.
Nel frattempo, come ripeto da tempo, i mostri (Google, Facebook, Yahoo,….) sono dietro la porta.