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I mutui sospesi per la moratoria Covid andranno in default. Non come immagina il Sole24Ore. Ecco spiegato perché.
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore per Il Fatto Quotidiano.
Quanti mutui concessi ad imprese che hanno beneficiato della moratoria prevista dal decreto Cura Italia diventeranno Npl (Non Performing Loans)? In altri termini quanti mutui, il cui pagamento oggi è sospeso, andranno in default perché le imprese non ce la faranno a pagare le rate al termine del beneficio della sospensione?
Secondo una indagine de Il Sole 24 Ore condotta tra le principali banche italiane, “l’ondata di Npl sarà meno drammatica di quanto non si immagini” perché, in sintesi, oltre il 70% delle imprese che hanno ottenuto la proroga del pagamento delle rate posseggono un rating creditizio alto, quindi sono affidabili e pertanto potenzialmente in grado di tornare a pagare dopo l’interruzione.
Nel maggio scorso, su queste colonne, avevo già espresso, al riguardo, la mia diversa opinione basata proprio sulla interpretazione delle valutazioni dei sistemi di rating adottati dalle grandi banche che presentano dei bug molto pericolosi, invisibili a chi non li ha maneggiati per anni.
Per tale motivo sostengo che l’impatto degli npl sui bilanci delle banche sarà almeno due volte più ampio di quello verificatosi post crisi 2008. Ad ogni modo, tenendo presente una ventennale esperienza personale di studio e di applicazione di quei sistemi, non sono d’accordo sulla visione incoraggiante per un fondamentale motivo. Perché si fa confusione tra i sistemi di erogazione creditizia basati sulle tecniche di scoring ed i sistemi di monitoraggio del rischio.
I primi sono utilizzati nella fase di prima concessione del finanziamento e nelle revisioni periodiche che teoricamente (e ripeto teoricamente) dovrebbero avvenire ogni 12-18 mesi. Determinano la cosiddetta “probabilità di default” della relazione affidata, cioè la probabilità in termini percentuali della insolvenza del rapporto nei successivi 12-18 mesi, sulla base di indicatori ormai superati di cui parleremo prossimamente.
I secondi, invece, hanno una funzione di sorveglianza sistematica e continua con lo scopo di far focalizzare mensilmente l’attenzione del gestore sulle relazioni con indicatori di rischiosità significativi e predittivi di 12 mesi del deterioramento del rapporto. Tali indicatori di pericolo, prodotti ogni mese (e ripeto ogni mese), classificano l’impresa sostanzialmente in tre categorie:
1. Aziende in “bonis”, quelle con andamento regolare.
2. Aziende “sotto osservazione”, quelle che evidenziano segnali di anomalia di una certa gravità e frequenza ma prevedibilmente superabili se non si interviene subito.
3. Aziende “a rientro”, quelle che presentano un peggioramento talmente profondo che necessitano di un disimpegno da parte della banca, consapevole che può anche andare incontro a perdite.
Questi segnali mensili sono poi letti ed elaborati dall’algoritmo dei sistemi di erogazione, cioè i primi, solo nel momento della revisione.
Appunto, se tutto va bene, ogni 12-18 mesi! Perché, solo chi ha vissuto quel mondo può saperlo, uno dei drammi gestionali più sentiti dai bancari è la revisione periodica delle pratiche di affidamento che storicamente si porta dietro un fardello di “arretrato” mediamente di 6-12 mesi per cui molto probabilmente oggi le banche leggono (e comunicano a Il Sole 24 Ore) rating creditizi relativi ad affidamenti revisionati almeno un anno fa. Quando il mondo era completamente diverso! Per semplificare provo ad utilizzare un paragone.
Pensate ad un uomo che ha fatto un controllo clinico-medico completo un anno fa e, in quel momento, risultava sano ed integro (e quindi con un rating ottimo!). Dopo due mesi quell’uomo inizia a manifestare dei leggeri disturbi fisici, segnali che vengono percepiti dalla moglie (il miglior sistema di monitoraggio del rischio al mondo) che lo invita, ma non ci riesce, a ripetere tutto il check-up clinico.
Passati altri 4 mesi, quei segnali di malessere diventano sempre più profondi e, insieme alla moglie, anche i figli pressano il padre affinché si rechi al centro medico per la “revisione” completa. Nessun risultato, quell’uomo evita di controllarsi. Arriva, dopo circa un anno, però, il momento in cui il centro medico obbliga quell’uomo a sottoporsi al test completo e solo a quel punto si scopre che ormai ha un male divenuto incurabile per effetto della mancata attenzione a quei segnali che avrebbero consentito, invece, una cura risolutiva.
Ecco, piuttosto che indagare sui rating creditizi forse sarebbe il caso di chiedere alle banche quante relazioni rispetto al totale sono, oggi, classificate “sotto osservazione” o “ a rientro”. Perché quelle aziende non saranno in grado di rispettare il pagamento delle rate di mutuo appena terminato il periodo di moratoria. Una fonte interna ad una grande banca mi ha riferito che la percentuale di aziende del suo portafoglio riconosciute nelle due categorie a rischio è raddoppiata rispetto ad un anno fa. Un quadro completamente diverso da quello prospettato da Il Sole 24 Ore.