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Cosa è l’happycracy e come la felicità condiziona il lavoro
Perché le aziende vogliono che i propri dipendenti siano contenti? Per poterli sfruttare meglio e risparmiare miliardi. Un nuovo modello di governo delle masse dei lavoratori.
Se, oltre la morte, c’è una cosa che la nostra benedetta cultura occidentale ci assicura è che saremo felici se avremo soldi, potere e una brillante posizione sociale.
L’obiettivo primario della vita è la felicità, diventata una vera è propria divinità. Ma a che costo? Sacrificando parti di noi. A spingermi in questa riflessione sono stati alcuni articoli e studi recenti circa la tendenza delle aziende, grandi o piccole che siano, ad assumere, selezionare, formare persone positive. Be happy! È il nuovo mantra. Nel lontano 2007 ho partecipato io stesso a un percorso di formazione istituito dalla banca per la quale ho lavorato 22 anni. Si chiamava Leadership for result e portava con sé uno slogan che sostanzialmente sintetizzava il concetto «se sei felice con te stesso, stai bene in azienda».
Tutti quanti noi, i manager partecipanti, ci chiedevamo, meravigliati, come mai la banca ponesse tanta attenzione alla nostra felicità. Come mai ci portava in aula (per la prima volta) per fini diversi dall’imparare tecniche di persuasione e di gestione delle risorse umane (venditori) ? All’ultimo Forum economico mondiale, a Davos, si è discusso ampiamente del tema. In quella occasione il ceo di Alibaba, Jack Ma, lo ha detto apertamente: le persone ideali da assumere non sono quelle più qualificate, affatto. Le migliori sono le più positive. Perché? Perché non si lamentano. Ecco perché la felicità sul posto di lavoro è il massimo per le aziende.
I DIPENDENTI FELICI SONO QUELLI MENO COSTOSI PER LE AZIENDE
Dietro ai claime, ai programmi di formazione, ai capitali crescenti investiti dalle aziende in servizi di consulenza, ai seminari motivazionali, ai mental coach d’azienda, ai psicologi d’azienda, agli esperti professionisti della felicità, sapete cosa c’è? Solo un tornaconto economico, parliamo di miliardi di euro, miliardi di euro di risparmio. Iniziamo con il dire che l’equazione dipendenti felici = dipendenti più produttivi non assicura un risultato costante, è tutto da dimostrare. È, di certo, solamente fuorviante ed aiuta le imprese a sbandierare un’ideale esteticamente bello, formalmente piacevole. Insomma, addolcisce la pillola.
Ciò che ci dicono le ricerche è che un’atmosfera positiva sul posto di lavoro aiuta sicuramente gli individui a intraprendere attività più pesanti. Sì, perché li rende più sicuri e quindi più superficiali e incoscienti. Inoltre la felicità, chiamiamola positività, sembrerebbe anche influenzare in negativo l’interesse verso gli altri, portando semplicemente a un calo di empatia. Questo dato ci sembra abbastanza oggettivo, quando siete carichi a mille e felici vi interessano gli altri? Rispondete sinceramente. No, quando si è davvero contenti si è al centro del proprio interesse, si diventa egoisti.
Continuo ad analizzarvi gli studi in merito. Sembrerebbe, anche, che i dipendenti più felici siano quelli più fragili emotivamente, maggiormente inclini a cali emotivi: dipendono, infatti, dai riconoscimenti e dalle rassicurazioni e vivono male, molto male, un mancato raggiungimento di un obiettivo. Ciò che è confermato è che i lavoratori contenti e motivati sono quelli che si ammalano di meno e accettano di buon grado la perdita dei propri diritti personali. Siamo arrivati al nocciolo della questione. Ecco perché le aziende ricercano la felicità come interpretassero Chris Gardner (Will Smith), nella Ricerca della felicità di Gabriele Muccino: «Tesoro, tu sei felice? Perché se sei felice tu, io sono felice ed è questo quello che conta!». Conta perché quelli felici sono i dipendenti meno costosi, più stai bene, più stai bene, fisicamente e mentalmente.
NEL LAVORATORE SI INNESCA UN MECCANISMO DI AUTOSFRUTTAMENTO
Più stai bene, più ti presti, aumentano i livelli di dedizione. Questo vuol dire taglio dei costi del turnover del personale, della compensazione e del reclutamento. Secondo Gallup negli Usa tali costi si aggirano tra i 438 mila e i 4 milioni di dollari all’anno per una ditta con 100 impiegati. E, ultimo ma non ultimo, non esiste strumento migliore della felicità per controllare le persone e sottometterle. Un dipendente felice farà meno caso alle condizioni di lavoro, al salario, e tollererà maggiormente lo sfruttamento attraverso l’autosfruttamento.
Meccanismo complesso la mente, che le aziende hanno imparato (da decenni e più) a regolare. Riescono a trasformare ciò che è necessario, necessità di lavoro, in una fonte di libido e consacrazione personale. È la sottomissione, mai citata a voce alta, ciò a cui mirano attraverso la felicità. Il culmine della felicità, per dirla alla Michel Houellebecq, consiste allora nella sottomissione più assoluta. L’oblio di sé stessi che rende veramente felici le aziende. Rinunciare a sé stessi, alla libertà, per essere felici è ciò che dicono. Stanno sviluppando l’happycracy, un nuovo modello di governo delle masse. Sembra follia. Erano felici anche le folle dei regimi totalitari, questo fa riflettere.