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Riforma Bcc, soci prigionieri delle nuove banche.
Non è un problema finanziario. Si tratta di una questione sociale e quindi politica. I cittadini italiani, soci delle banche di credito cooperativo, stanno perdendo il loro diritto di vendere le quote rappresentative in qualità di proprietari delle banche. Sono circa 1,3 milioni gli italiani, soci cooperatori delle bcc, che stanno per essere espropriati per legge e senza indennizzo del capitale che hanno messo (speriamo consapevolmente) nella loro banca. E nessuno ne parla!
Si sta gravemente sottovalutando il problema del recesso dei soci delle bcc e delle banche popolari quando andrà in vigore la riforma prevista dalla legge n. 49/2016. Un problema che la maggior parte dei soci – e forse anche degli esponenti aziendali delle banche territoriali – non conosce affatto. Cerchiamo di fare chiarezza.
La legge n. 49/2016 (riforma del credito cooperativo), con una norma (articolo 2 comma 1) che autorevoli giuristi considerano incostituzionale, sta provando ad affermare che l’articolo 2437 del c.c. non si debba applicare alle modifiche statuarie necessarie per l’ingresso delle banche di credito cooperativo nel gruppo, anche se tali modifiche dovessero comportare un cambiamento significativo dell’attività o una compressione dei diritti dei soci.
Recita, infatti, l’articolo 2437 del c.c. che quando una società cambia in modo significativo la sua attività o i diritti dei soci, i soci che non sono d’accordo hanno il diritto di recedere e di avere indietro il capitale versato. In parole semplici ai soci che voteranno a favore dell’adesione al gruppo e a tutti quelli che non parteciperanno alla votazione non si applicherà l’articolo 2437 lettere a) e g) del Codice Civile e quindi gli si negherà per legge il diritto di recedere e di avere indietro i soldi delle quote sottoscritte!
Quando i soci capiranno che la riforma – per come il legislatore, influenzato dagli organi di vigilanza e da quei pochi interessati alle poltrone delle banche capogruppo, l’ha pensata – è andata al di là dell’obiettivo condivisibile di mettere in sicurezza il sistema facendo diventare tutte le banche di credito cooperativo come delle semplici filiali di società per azioni, uguali in tutto e per tutto a quelle delle grandi banche, è molto probabile che non avranno più quell’interesse a partecipare e sicuramente si affievolirà quel legame, spesso affettuoso, che hanno dimostrato fino a quando la loro banca era una vera cooperativa di territorio.
E quando si accorgeranno che, ciò nonostante, le loro quote non potranno essere restituite, perché una norma di legge ha messo di fatto quelle quote a disposizione di quelli che diventeranno i nuovi padroni del credito cooperativo, nasceranno infiniti problemi, la norma che imprigiona il capitale finirà molto probabilmente davanti alla Corte Costituzionale e i soci delusi chiederanno comunque di ritirare i loro depositi.
Ad oggi, nel credito cooperativo, il capitale detenuto dai soci sfiora un miliardo e quattrocento milioni di euro; i depositi dei soci ammontano a una cifra molto superiore come si evince dal documento esclusivo allegato. Si è pensato a cosa accadrà quando i soci, i quali hanno confidato sull’aiuto del legislatore e degli organi di vigilanza affinché le bcc risolvessero i loro problemi e continuassero a dare supporto a una parte essenziale dell’economia del Paese, si accorgeranno che le banche di credito cooperativo sono stato invece snaturate e sono state trasformate in pezzi di un’unica banca comandata da altri interessi e alla quale si applicano le regole e i metodi tipici delle grandi banche con scopo di lucro?
A cura di Vincenzo Imperatore