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Perché è necessaria una ulteriore proroga alla riforma delle Bcc
Sono troppe le ombre sul “riordino” delle banche di credito cooperativo. E i soci potrebbero non essere stati informati a sufficienza sui loro diritti. È meglio che il governo prenda tempo.
Potrebbe sembrare un problema che riguarda il mondo della finanza. Ma non lo è. Si tratta di una questione sociale e quindi politica. I cittadini italiani, soci delle banche di credito cooperativo, stanno perdendo il loro diritto di vendere le quote rappresentative della qualità di proprietari delle banche. Sono circa 1,3 milioni gli italiani, soci cooperatori delle Bcc, che stanno per essere espropriati per legge e senza indennizzo del capitale che hanno messo (speriamo consapevolmente) nella loro banca. Ci sono soci delle banche di credito cooperativo che hanno investito solo 300 euro, ma ci sono soci che hanno messo anche 50 mila euro nel capitale della loro banca. Ma nessuno ne parla. Si sta gravemente sottovalutando il problema del recesso dei soci delle Bcc e delle banche popolari quando andrà in vigore la riforma prevista dalla legge n. 49/2016. Un problema che la maggior parte dei soci, e forse anche degli esponenti aziendali delle banche territoriali, non conosce affatto. Cerchiamo di fare chiarezza.
LE OMBRE SULLA RIFORMA DEL CREDITO COOPERATIVO
La legge 49/2016 con cui si vuole riformare il mondo del credito cooperativo obbliga praticamente le banche, al fine di efficientare e modernizzare un sistema che, ricordiamolo, ha oltre 150 anni di vita, ad aderire a un “gruppo cooperativo” producendo una balcanizzazione degli assetti con le circa 300 Bcc del nostro Paese aggregate in tre galassie. Due grandi gruppi facenti capo all’area romana di Iccrea (160 circa) e ai “trentini” della Cassa Centrale Banca di Trento (100) che si guardano in cagnesco e uno più piccolo (50 circa) facente capo alle realtà della provincia di Bolzano che segue una strada propria. La legge n. 49/2016 con una norma (art. 2 comma1) che autorevoli giuristi considerano incostituzionale sta provando ad affermare che l’art. 2437 del c.c. non si debba applicare alle modifiche statuarie necessarie per l’ingresso delle banche di credito cooperativo nel gruppo che si andrà a costituire, anche se tali modifiche dovessero comportare un cambiamento significativo dell’attività o una compressione dei diritti dei soci. Recita infatti l’art. 2437 del c.c. che quando una società cambia in modo significativo la sua attività o i diritti dei soci, i soci che non sono d’accordo hanno il diritto di recedere e di avere indietro il capitale versato.
SE IL DIRITTO DI RECEDERE VIENE NEGATO
In parole semplici ai soci che voteranno a favore dell’adesione al gruppo e a tutti quelli che non parteciperanno alla votazione non si applicherà l’art. 2437 lettere a) e g) del codice civile e quindi gli si negherà per legge il diritto di recedere e di avere indietro i soldi delle quote sottoscritte. Quando i soci capiranno che la riforma – per come il legislatore, influenzato dagli organi di vigilanza e da quei pochi interessati alle poltrone delle banche capogruppo, l’ha pensata – è andata al di là dell’obiettivo condivisibile di mettere in sicurezza il sistema facendo diventare tutte le banche di credito cooperativo semplici filiali di società per azioni uguali in tutto e per tutto a quelle delle grandi banche, è molto probabile che non avranno più quell’interesse a partecipare, e sicuramente si affievolirà quel legame, spesso affettuoso, che hanno dimostrato fino a quando la loro banca era una vera cooperativa di territorio. E quando si accorgeranno che ciò nonostante le loro quote non potranno essere restituite, perché una norma di legge ha messo di fatto quelle quote a disposizione di quelli che diventeranno i nuovi padroni del credito cooperativo, nasceranno infiniti problemi, la norma che imprigiona il capitale finirà molto probabilmente davanti alla Corte costituzionale e i soci delusi chiederanno comunque di ritirare i loro depositi.
I SOCI DELLE BCC SONO STATI ADEGUATAMENTE INFORMATI?
A oggi, nel credito cooperativo, il capitale detenuto dai soci sfiora 1 miliardo e 400 milioni di euro; i depositi dei soci ammontano a una cifra molto superiore.Si è pensato a cosa accadrà quando i soci, i quali hanno confidato sull’aiuto del legislatore e degli organi di vigilanza affinché le Bcc risolvessero i loro problemi e continuassero a dare supporto a una parte essenziale dell’economia del Paese, si accorgeranno che le banche di credito cooperativo sono stato invece snaturate e sono state trasformate in pezzi di un’unica banca comandata da altri interessi ed alla quale si applicano le regole e i metodi tipici delle grandi banche con scopo di lucro? Si è pensato a informarli di quello che sta accadendo e del fatto che, in altri Paesi dell’Ue, le banche cooperative sono state salvaguardate in modo del tutto diverso e restano vigilate dalla loro autorità nazionale? Si è pensato ai rischi per la stessa stabilità patrimoniale delle banche di credito cooperativo, quando i soci delusi capiranno di non poter neanche recedere e reagiranno in massa come già si è visto fare nei casi del così detto risparmio tradito? Forse è il caso che il governo deliberi una ulteriore proroga per l’entrata in vigore della riforma.
A cura di Vincenzo Imperatore