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Perché è giusto indagare Paolo Savona per usura bancaria
Di Maio e Salvini ne hanno parlato come se si trattasse di una formalità. Invece la procura di Campobasso ha agito nel modo migliore per difendere i clienti di Unicredit.
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore
Ma Luigi Di Maio e Matteo Salvini conoscono la differenza tra codice penale e codice civile? A quanto pare sembrerebbe di no se ci si sofferma sulle dichiarazioni rilasciate all’indomani della notizia della iscrizione del professor Paolo Savona (e dei vertici di Unicredit) nel registro degliindagati della procura di Campobasso per presunto reato di usura bancaria per fatti relativi al periodo (dal 2005 al 2013) in cui il ministro era presidente della banca. I due vicepremier hanno sostenuto che l’indagine è un «atto dovuto», quasi come se fosse una formalità burocratica che la magistratura ha dovuto esplicare. L’inchiesta non solo non è un atto dovuto. È un atto giusto e necessario! Perché se è vero che all’epoca dei fatti Savona non aveva competenze sui tassi d’interesse, oggetto del contendere, è altrettanto vero che quella banca, così come tante altre, è stata già più volte oggetto di sentenze, in sede civile, che le imponevano di risarcire i suoi clienti dell’indebito percepito a titolo di interessi.
TANTA CONFUSIONE SUL REATO DI USURA BANCARIA
Nell’immaginario collettivo, però, quando si parla di usura, si pensa solo allo strozzino, quello che, metaforicamente, vive agli angoli delle strade e brucia l’auto di chi non paga regolarmente gli interessi. Più raramente si riflette sul fatto che, al giorno d’oggi, gli usurai più condannati in sede civile sono proprio le banche (basta andare sul web e verificare), la cui funzione istituzionale oltre alla raccolta del risparmio è paradossalmente l’erogazione del credito. La differenza, sostanziale è una sola: mentre l’usuraio “comune” rischia la galera e il sequestro della refurtiva, l’istituto non rischia nulla perché, per la maggior parte delle procure italiane, esso non commette reato ma solo illecito civile. Ancora tanta la confusione sulla interpretazione giudiziaria dell’usura delle banche! Confusione (o impreparazione) in cui ci sguazzano anche i politici.
MOLTE CONDANNE IN SEDE CIVILE, POCHI RINVII A GIUDIZIO IN SEDE PENALE
Ma cerchiamo di semplificare. L’usura è un reato punito dal Codice penale all’articolo 644, riformato dalla legge numero 108 del 7 marzo 1996. Il reato di usura prevede come pena la reclusione da due a 10 anni, multe da 5 mila a 30 mila euro. In ambito civile, poi, nel caso accertato di un finanziamento usurario, il cliente è tenuto a restituire alla banca solo la somma ricevuta in prestito, senza dover corrispondere nemmeno un euro di interessi. L’azione penale mira quindi a individuare la responsabilità soggettiva di chi ha commesso il reato. L’azione civile ha l’obiettivo, invece, di evidenziare l’illecito e la restituzione dell’indebito. In Italia finora ci sono state centinaia e centinaia di condanne in sede civile (anche la transazione extragiudiziale e/o pre-sentenza è sostanzialmente una condanna) ma pochissimi rinvii a giudizio in sede penale. In sintesi, il nostro sistema giuridico e giudiziario ha sancito, paradossalmente, che la banca, come entità “liquida”, è responsabile, restituisce i soldi agli usurati ma non si riesce comunque a trovare il colpevole (soggetto che ha preso la decisione di applicare tassi usurai) da punire penalmente.
IL TRIBUNALE DI CAMPOBASSO E LA DECISIONE DI INDAGARE 23 MANAGER
Perché si realizza questa incongruenza? Le denunce penali in generale – e quindi anche quelle per usura, comportamento estorsivo, violenza privata, etc – vengono archiviate perché mancano due elementi fondamentali per il rinvio a giudizio: l’identificazione soggettiva di chi commette il reato e le prove. Nel primo caso, sostenere che la banca – genericamente e senza nome e cognome del responsabile – abbia estorto denaro mette in seria difficoltà un magistrato, che in tal caso manifesta incertezza su chi deve innanzitutto interrogare. Il presidente dell’istituto? L’amministratore delegato? Il direttore generale? Il direttore di area? Il direttore di filiale? L’ultimo semplice gestore? Ecco perché il tribunale di Campobasso, nell’incertezza e forse dietro denuncia generica, ha deciso giustamente di indagare 23 manager dell’istituto di credito, dal più piccolo gestore al presidente della banca che, non dimentichiamolo, è garante della corretta osservanza delle leggi sull’usura indipendentemente dalla suddivisione dei compiti che non può esonerare i vertici dall’attività di vigilanza e controllo. Solo questo dovrebbe bastare per far riflettere chi dice, Salvini e Di Maio in testa, che è un atto dovuto!