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Oltre ai truffatori sono responsabili pure i truffati
Si moltiplicano le società che agganciano imprenditori e semplici cittadini convincendoli a fare causa contro gli istituti di credito. Sottraendo il contenzioso agli esperti. Ma chi abbocca non è esente da colpe.
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore
Chi non ha mai sperato, almeno una volta nella vita, di fare “l’affare del secolo”? Ma acquistare qualcosa a un prezzo nettamente inferiore a quello di mercato oppure con vantaggi inverosimili presenta dei rischi che incidono pesantemente sul bilancio emotivo, finanziario e talvolta anche giudiziario del compratore. A chi non piacerebbe acquistare un Rolex a 200 euro oppure per pochi spicci approvvigionarsi di bottiglie di acqua miracolosa che, ingerita, produrrebbe il ricambio e il ringiovanimento delle cellule invecchiate?
CONDANNE PER LITE TEMERARIA. Premessa necessaria per introdurre un ragionamento più ampio sullo scenario aperto con il rinvio a giudizio dei soci della Sdl. La società bresciana, secondo l’accusa, grazie a una struttura di marketing piramidale avrebbe agganciato migliaia di imprenditori e semplici cittadini convincendoli a fare causa contro gli istituti di credito sulla base di perizie inattendibili vendute dalla stessa società. Cause in diversi casi finite male, a volte anche con condanne per lite temeraria a chi le aveva intentate.
ARRETRATEZZA MANAGERIALE. È solo responsabilità dei presunti truffatori o c’è anche un concorso di colpa degli imprenditori che, trincerandosi dietro l’ormai insopportabile ricorso alla “ignoranza in materia”, manifestano, anche in questo caso, un’arretratezza manageriale e gestionale e una resistenza al cambiamento?
Negli ultimi 10 anni, quelli della progressiva crisi che ha investito tutti i settori produttivi del nostro Paese, la sensibilità nei confronti delle banche è mutata radicalmente: sono diventate attaccabili, non infallibili e di certo non sacre come le si era immaginate per decenni. In questa nuova accezione condivisa hanno trovato spazio molte società che, in qualche modo più o meno opinabile, hanno effettuato azioni commerciali “spinte” al fine di collocare perizie «econometriche», «inoppugnabili», «certificate», «legali», «brandizzate» e così via.
«ANATOCISMO», PAROLA ABITUALE. Si è assistito, negli ultimi anni, a una progressiva commercializzazione di perizie su contratti bancari come se fossero polizze assicurative o offerte da porta-a-porta. Da parole tabù i termini «anatocismo» e «usura» hanno finito per soppiantare i discorsi da bar sulla Serie A e la Champions league.
Si è assistito pertanto a un progressivo deteriorarsi delle professionalità e delle competenze messe in campo nel contenzioso bancario, in special modo nella redazione di perizie su rapporti di credito (fidi su conti correnti, mutui, finanziamenti e leasing). Nella mercificazione abbiamo assistito a un making peritale da copia-incolla che addirittura, in alcuni casi, ha partorito perizie scritte già come sentenze senza sollevare quesiti sui comportamenti illeciti, ma fornendo subito in modo inoppugnabile il quantum da ristornare al cliente.
PERIZIE CHE NON SONO CERTIFICATE. Facendo credere all’imprenditore che i soldi erano già stavano in tasca. Le perizie (non solo in campo bancario) non sono «certificate», ma «asseverate»; le perizie non sono «etiche» bensì «tecniche»; non sono «inoppugnabili», ma servono a suffragare tesi e ad aprire quesiti sulla liceità dei comportamenti. Fin qui le responsabilità dei “perizifici” le cui dinamiche furono denunciate dal sottoscritto nell’ormai lontano 2014.
IGNORATI I CONSULENTI PREPARATI. Ma i truffati hanno responsabilità? Parliamo di quei piccoli imprenditori in stato di crisi e che illusi dalla “vittoria facile” hanno approcciato con superficialità e approssimazione una materia, il contenzioso bancario, che doveva essere demandato a consulenti tecnico-legali preparati, esclusivamente dedicati al contenzioso bancario (che necessita di un costante aggiornamento) e soprattutto conoscitori del territorio e delle sue dinamiche (intese come rapporti fra il territorio e gli istituti di credito presenti), oltre che etici.
Volendo esasperare il concetto, si tratta di un modello comportamentale molto simile all’incauto acquisto di cui all’articolo 712 del codice penale laddove, per integrare la fattispecie, occorre da parte del compratore un’oggettiva ragione di sospetto, o più semplicemente disattenzione, noncuranza o disinteresse verso la provenienza della cosa, indipendentemente dalle motivazioni personali.
IMPRENDITORI ITALIANI DEBOLI. I truffatori infatti hanno bisogno di debolezza, psicologica e culturale, per portare a termine i loro reati. E gli imprenditori, nel nostro Paese, sono deboli, ancorati a un modello dinastico-imprenditoriale dove ogni aspetto di gestione è strettamente correlato alla eccessiva personalizzazione del capo-fondatore che non “ascolta” (se non i soliti commercialisti tuttologi), che non investe nella crescita, che non programma il ricambio generazionale. A me le “lacrime da coccodrillo” non sono mai piaciute.