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La favola del risparmio gestito
C’erano un manager, un consulente e un gestore…
Inizia così la favola, finora non a lieto fine, del più grande inganno dell’industria finanziaria: il risparmio gestito.
Il risparmio gestito è la quota di disponibilità personali affidata dal risparmiatore ad uno o più gestori professionali che, nell’ambito di un mandato ricevuto, provvedono ad amministrare le risorse loro conferite (fondi comuni, gestioni patrimoniali, polizze vita e fondi pensioni).
Il manager è solitamente un kapò poco preparato in materia finanziaria che esercita, in nome dell’onnipotente budget, pressioni nei confronti dei consulenti che, molto più preparati e consapevoli dei manager, non hanno altra via (se non la denuncia, con tutti i rischi che ne conseguono) che non sia quella di abbassare la testa e consigliare ai risparmiatori quanto non vorrebbero proporre neppure al loro peggior nemico.
Le pressioni del manager sono pero’ il frutto delle “indicazioni” ricevute, per il tramite del top management, dal gestore che è responsabile degli investimenti e a cui viene appunto delegata la gestione del capitale del risparmiatore .
Gli italiani hanno affidato il 50% dei loro risparmi (4.000 mld di euro) ai soggetti abilitati alla attività di gestione: SGR, banche, SIM, gestori e imprese di investimento esteri, SICAV e SICAF.
Il 70% del mercato del risparmio gestito è in mano a 8 gruppi: Generali, Intesa-San Paolo (Eurizon, Fideuram), Amundi, Anima Holding, Poste Italiane, Blackrock, Ubi e Mediolanum.
Ad un certo punto il risparmiatore si accorge che i costi degli investimenti in risparmio gestito sono eccessivi perché il gestore non solo deve remunerare se stesso per il lavoro di analisi e di asset allocation, ma deve anche “incentivare” i manager e i consulenti a collocare quei prodotti.
Se si tiene conto di tutti i costi a carico del sottoscrittore (spese di gestione, amministrative, di ingresso e uscita dall’investimento), di cui abbiamo ampiamente scritto su queste colonne, vi sono 125 prodotti su 130 a disposizione degli investitori italiani, in cui la società di gestione guadagna più del risparmiatore negli ultimi tre anni!
Non solo ma una ricerca di Prometeia di qualche mese fa ha evidenziato che oltre un quarto delle masse gestite in Italia – soprattutto se indirizzate a fondi obbligazionari e bilanciati di vario tipo – presentano un rendimento netto negativo, a fronte di un risultato lordo positivo.
E’ l’effetto della combinazione di rendimenti bassi o prossimi allo zero con strutture commissionali che complessivamente nel tempo non si sono ancora del tutto adeguate al nuovo scenario di mercato. In altri termini una parte dei portafogli dei clienti delle banche è ancora troppo sbilanciata su prodotti relativamente meno efficienti, ovvero proprio quelle asset class con la struttura di costi più disallineata dai rendimenti.
Ora il risparmiatore aspetta il principe azzurro sotto forma della direttiva europea Mifid 2 che, dal gennaio 2019, prevede l’obbligo di verificare finalmente l’esatta portata dei costi sopportati e dei rendimenti ottenuti.
Ma i consulenti, pressati dai manager su indicazione del gestore, hanno gia trovato il modo di eludere gli ulteriori controlli della direttiva Mifid. Ma di questo parleremo nella prossima puntata. Ora limitiamoci a dire che la morale della favola, al netto della tara della generalizzazione, e’: o gli italiani sono coglioni consapevoli o i tre personaggi sono abili manipolatori di un popolo finanziariamente ignorante e sprovveduto.
Voi cosa ne pensate?
A cura di Vincenzo Imperatore