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Il ricambio aziendale non è solo un affare padre-figlio
Lo sviluppo delle imprese di piccole dimensioni è strettamente correlato alla storia professionale dell’imprenditore e, molto spesso, dei membri della sua famiglia.
Abbiamo già iniziato a discutere dei rischi insiti nella successione aziendale, ma forse, per questione di spazio e di battute, non abbiamo fatto ben comprendere che la continuità aziendale è un problema che riguarda non solo la proprietà (i rappresentanti delle due generazioni che originano il cambio), ma anche altri attori che sono portatori di interessi esterni all’azienda che, è bene ricordarlo, nel momento del passaggio generazionale, esce quasi sempre profondamente mutata.
Chi sono i tanti attori in scena?
Parliamo degli eventuali manager dell’azienda che non sono membri del gruppo proprietario, tutti i collaboratori, i consulenti standard (commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro) dei protagonisti della successione, le loro famiglie e, all’esterno dell’azienda, tutti i portatori di interessi in azienda come le banche, i fornitori e i clienti e, sia pure in maniera molto indiretta, le associazioni industriali di appartenenza e gli enti locali.
La successione imprenditoriale può essere infatti concepita anche come un processo di scambio e selezione di competenze tra i due protagonisti principali che, oltre a garantire il fisiologico alternarsi alla guida dell’azienda, permetta il mantenere o il variare di valori, metodi, procedure e tecniche manageriali (competenze critiche) coerenti con le esigenze proprie dell’impresa.
Se queste competenze critiche per l’efficace conduzione dell’azienda rimangono inalterate nel tempo ed è presumibile possa durare anche per il futuro, risulta chiaro che, da un lato, il percorso formativo del successore potrà ricalcare quello seguito a suo tempo dall’attuale imprenditore e, dall’altro, che la delega tra i due protagonisti potrà essere esclusivamente operativa cioè limitata allo svolgimento di attività in misura più o meno ampia a seconda dei casi.
Differente e più complesso è il caso in cui il processo di successione non si deve limitare a concludere un avvicendamento fisiologico ai vertici dell’azienda, ma deve anche favorire la riformulazione del ruolo imprenditoriale richiesto dalle mutate condizioni aziendali.
In presenza di nuove funzioni critiche, di emergenti strategie di evoluzione aziendale, di rapida crescita dell’azienda o al contrario, di involuzioni nel processo di sviluppo, l’imprenditore deve, oltreché percepire queste novità, sapervi adattare i modi e i tempi del proprio contributo all’azienda.
In questo quadro occorre soffermarsi sul ruolo degli altri attori coinvolti.
Escludendo le banche di cui abbiamo parlato tanto su queste colonne e che, tranne casi eccezionali, sono portatori dei soli propri interessi, è il caso di soffermarci sugli altri protagonisti.
Con riferimento all’ambito familiare e amicale il principale obiettivo che questi ultimi devono perseguire è quello di garantire un clima favorevole alla successione: ciò non significa evidentemente evitare che, influenzati dalla morale cattolica della ‘famiglia del Mulino Bianco’, determinati e oggettivi conflitti si manifestino.
Il ruolo positivo della famiglia e di eventuali amici coinvolti come esterni nel processo di successione, tranne alcune eccezioni, si svolge soprattutto nella sfera della mediazione interpersonale e della creazione di spazi di confronto.
Specialmente per i membri della famiglia che possiedano quote o azioni dell’azienda e che non sono coinvolti nella gestione, il momento della successione può rappresentare l’occasione traumatica di divisioni e contrapposizioni: anche per questo l’abitudine al confronto regolare nell’ambito di un consiglio di famiglia può essere molto utile.
Infine, va ricordato che la famiglia per sua natura tende a smembrarsi e a creare nuovi nuclei; poiché non sempre per l’azienda è efficace seguire la stessa prospettiva si fondano, per esempio, piccoli ‘sottogruppi’ familiari: questo fenomeno tende di per sé ad aumentare la complessità del processo successorio.
E quindi a maggior ragione occorrono forze di mediazione che sicuramente possono svolgere i familiari e gli amici.
Gli attori che invece agiscono in ambito aziendale (dirigenti, commercialista e tutti gli altri collaboratori) possono e devono contribuire alla creazione di una visione realistica e approfondita dell’azienda: ciò a beneficio immediato dei protagonisti della successione.
Questi attori dovrebbero essere attentamente ascoltati da entrambi in ordine alle attese dell’evoluzione futura dell’azienda e coinvolti nei tempi e nei modi più opportuni laddove l’avvento di uno o più successori possa bloccare significativamente le aspettative di carriera e le motivazioni al lavoro di ognuno di essi.
In alcuni casi di successione imprenditoriale impossibile da realizzare in ambito familiare, collaboratori e consulenti, come precedentemente rilevato, possono svolgere un ruolo più attivo rilevando la proprietà dell’azienda o, nel caso di successione traumatica e quindi improvvisa, supportando l’eventuale periodo di interregno.
Normalmente questo è l’unico polo da cui, nell’intero processo di successione, possano provenire informazioni aggiuntive sulla gestione aziendale rispetto a quelle già conosciute dai protagonisti.
L’unica alternativa può essere rappresentata da clienti e fornitori che possono rilevare l’azienda.
Fatte queste premesse, il ruolo dell’onnipresente commercialista non appare ancora pronto ad affrontare, tranne casi eccezionali (significa statisticamente una percentuale bassissima del totale degli iscritti all’ordine), il fenomeno della successione in azienda.
Il consulente deve essere autorevole e meritare la piena fiducia dell’imprenditore e della famiglia comprendendo le diverse esigenze della famiglia e dell’impresa e gli equilibri in gioco. E fin qui ci siamo.
Ma il passaggio generazionale non ha regole e soluzioni standardizzate e precostituite. Occorre gestire e coordinare aspetti eterogenei in una soluzione personalizzata e armoniosa.
E qui si evidenziano i limiti della categoria.
L’ordinamento giuridico italiano offre diversi strumenti per il passaggio generazionale, ma l’esperienza dimostra che la soluzione del caso concreto richiede spesso l’impiego congiunto ed equilibrato di più strumenti, conciliando la trasmissione della proprietà e la definizione delle regole di corporate governance senza mai perdere di vista la strategia di continuità e crescita dell’impresa.
La strutturazione di un trust o di un patto di famiglia, la stesura di un testamento, la definizione di una carta dei valori della famiglia, la costituzione di comitati di famiglia con relativa condivisione delle regole di funzionamento o la negoziazione di patti parasociali sono esempi di attività che un passaggio generazionale può richiedere unitamente a una razionalizzazione dello schema societario e/o alla scelta dei veicoli societari più adatti.
Ma soprattutto l’attività del consulente dovrebbe essere mirata alla pianificazione (dal punto di vista organizzativo, legale, fiscale, contabile e amministrativo) della successione.
Mettersi sulla scena e non occupare la casella del suggeritore che, pur fiutando aria di default, non entra direttamente sul tema, ma allestisce e vende servizi-tampone o progetti-ponte.
Non se ne risenta l’ordine dei commercialisti. Confrontarsi con le differenze non significa voler eliminare quelle differenze.