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Habemus commissione! Il Presidente ha firmato
La commissione bicamerale d’inchiesta sugli istituti di credito è realtà.
Articolo di Vincenzo Imperatore per People for Planet
La commissione bicamerale d’inchiesta sugli istituti di credito è realtà. Il Paese si munisce di un organo, regolato dall’articolo 82 della Costituzione italiana, che svolgerà le stesse funzioni della magistratura (indagare su argomenti di interesse pubblico) non potendo, però, sentenziare. L’output finale, infatti, consisterà in una relazione conclusiva da presentare al parlamento, il quale a sua volta potrà approvare o meno gli atti necessari a riparare possibili questioni d’emergenza.
Ma c’è un però. Che la commissione “non sconfini dai suoi compiti e rispetti l’autonomia delle authority”, è stato l’avvertimento, alquanto irrituale di Mattarella. Irrituale tanto quanto il monito della Casellati – “i componenti della commissione siano scelti tra gli esperti del settore” – che manda la Costituzione al bar.
Il documento è firmato. Il Presidente ha firmato ma c’è preoccupazione. C’è la preoccupazione di BankItalia (organo di vigilanza, il quale si ritroverà esso stesso vigilato), c’è la preoccupazione della casta, che ha paura di ritrovarsi uomini del governo gialloverde (su tutti Gianluigi Paragone, possibile Presidente della futura commissione) a intralciare le proprie sacrosante attività di lobbying.
Ciò che traspare, infatti, dalla lettera inviata da Mattarella ai Presidenti delle Camere è che l’appoggio del Capo dello Stato sia solo apparente, formale. In sostanza ci si nasconde dietro il pericolo dell’antieuropeismo, suscitato dalle intemperanze populiste del nuovo governo, per non essere gli artefici della fine dell’età d’innocenza.
In pratica la gestione ordinaria degli istituti di credito non va influenzata, così come la Ue e la Bce vanno trattate con serenità e moderazione. Sembrerebbe quasi un premio di consolazione per il M5S, però con la promessa, da mantenere, di fare “i bravi”.
Promesse tuttavia che il Paragone di cui sopra, senatore, esponente del M5S e uomo scelto da Di Maio per la presidenza della commissione, non sembra voler mantenere, tanto da urtare anche la Lega che vorrebbe trattare ancora sulla nomina.
Paragone non può mantenere questa promessa, perché è uno dei pochi che conosce il sistema bancario da sempre, anche da giornalista, e ne combatte, e ne ha combattuto, le storture con competenza e coraggio.
Non può perché “la sovranità appartiene al popolo”, ha scritto egli stesso su Facebook e ancora “la commissione d’inchiesta serve per capire le dinamiche di alcune crisi bancarie”; e punire, aggiungiamo, chi ha fatto finta di non vedere, chi non ha vigilato, chi le ha causate. Punire molti dei preoccupati, quelli chiusi nelle segrete stanze dove nessuno è mai potuto entrare (o non ha mai voluto) e dove ora dalle finestre della commissione potrà entrare l’aria del cambiamento.
Aria che dovrà dare respiro a una commissione che non dovrà essere inutile come quella presieduta da Casini e che potrà farlo lavorando sui successivi aspetti.
Limitare l’autoreferenzialità delle governance bancarie, introducendo magari un limite ai mandati dei consiglieri. Una regola semplice che sola potrebbe ridurre i rischi degli organismi chiamati alle scelte di governo di un’azienda, come quelli della creazione di vincoli e legami, tra nominante e nominati, difficili da sciogliere. Mettiamo il caso di un gruppo dirigente che mostra tolleranza verso prassi negative, il membro del cda può essere indotto ad accettarle perché scelto o semplicemente perché può essere difficile nel breve, se non dotati di attitudini investigative, rendersi conto di cosa stia succedendo davvero. Alcuni documenti possono essere di un elevato formalismo e di difficile lettura, possono essere resi opachi.
Rendere le scelte strategiche trasparenti. La reputazione si costruisce attraverso un processo collettivo a cui partecipano soci, clienti, opinione pubblica. Ecco perché le scelte strategiche in materia di operazioni finanziarie, di tesoreria e di credito vanno rese trasparenti. Vogliamo valutare l’etica di una banca, bene, deve poterci dire su quale progetti sta investendo i propri fondi, che fine hanno fatto i soldi depositati, il risparmiatore ha il diritto di sapere se i suoi risparmi sono stati impiegati per finanziare l’economia reale o per fare speculazione finanziaria.
Tetto agli stipendi dei top manager. Gli stipendi dovrebbero sempre essere proporzionali alle responsabilità, agli obiettivi da assolvere e anche alle skill e alle competenze oggettive. Nel nostro sistema bancario tra lo stipendio più alto e quello più basso c’è il rapporto di 1 a 50. L’equità, care banche, non si raggiunge scrivendo una mission ma attraverso policy dei compensi, fissando limiti alle remunerazioni e stabilendo che lo stipendio del direttore generale (ad esempio), non possa essere superiore a sei volte quello del collaboratore con inquadramento più basso.
Controllo dei sistemi d’incentivazione. Gli incentivi non devono essere il fine ultimo dei collaboratori. La storia ci insegna che sono stati i benefit a favorire la vendita al pubblico di prodotti finanziari sporchi. Che la commissione indaghi anche sulla corretta applicazione della Mfid nella disciplina dei benefit al management. Consob e Bankitalia non l’hanno mai fatto.
Certificazione dell’etica del venditore/consulente. Si è sempre premiato chi vendeva di più, mai che vendeva meglio. Basterebbe un esame basato sulla qualità della vendita attraverso una indagine di customer satisfaction fatta da un organismo terzo per risolvere la questione.
Pluralismo professionale nei Cda. L’Eba sta andando verso il criterio che imporrà a tutti gli amministratori di banca di essere esperti di finanza. Peccato, però, che in certi casi siano anche quelli che hanno maggiori abilità e chance per potere ingarbugliare meglio la finanza. La soluzione è stabilire nei consigli di amministrazione un buon mix di professionalità e competenze. Un consiglio con una buona biodiversità senza dubbio è maggiormente in grado di garantire un buon governo dell’azienda attraverso una sana dialettica. La seconda barriera riguarda l’onorabilità, un passo in più rispetto al casellario giudiziale si può fare. Una buona reputazione può essere evidenziata dal curriculum o da soggetti terzi, si potrebbe valutare se questa persona ha manifestato in passato attitudini che la rendano degna del compito, se ha esperienze nel no-profit, nel volontariato o in iniziative filantropiche oppure se ha un consenso popolare positivo.
Habemus commissione e habemus uomini (tipo Paragone) capaci. Se i paletti non andranno di traverso alle ruote del cambiamento potremmo assistere a una nuova stagione del sistema bancario italiano, fresca per risparmiatori e le persone oneste; calda, quasi infernale, per quelli delle lobby, i tiratori delle fila.