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Come rendere efficace la commissione d’inchiesta sulle banche
Dal tetto agli stipendi dei manager alla trasparenza sulle scelte strategiche, fino alla certificazione dell’etica del venditore: 6 consigli per far sì che il nuovo organismo funzioni a dovere.
Si riparla della commissione bicamerale di inchiesta sugli istituti di credito. La proposta è stata fatta con un ddl dal M5s e per la presidenza si fa il nome del senatore Gianluigi Paragone, uno dei pochi che davvero conosce quel sistema e da sempre, anche da giornalista, ne combatte lo storture con competenza e coraggio. Le commissioni d’inchiesta sono regolate dall’articolo 82 della Costituzione italiana e possono essere create ad hoc per svolgere indagini e ricerche su materie e argomenti di interesse pubblico, con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria. L’output finale di una commissione è una relazione conclusiva che dovrebbe portare il parlamento a presentare, ed eventualmente approvare, i necessari atti (da ordini del giorno a disegni di legge) in linea con il contenuto del documento. Per non considerarla inutile come la precedente (presieduta da PierFerdinando Casini), la istituenda commissione potrebbe lavorare su questi sei aspetti.
1. LIMITARE L’AUTOREFERENZIALITÀ DELLE GOVERNANCE BANCARIE
Un buon antidoto all’autoreferenzialità degli organi di governo, uno dei principali fattori di crisi delle banche, può essere l’introduzione del limite dei mandati dei consiglieri (non più di quattro, dunque non più di 12 anni in un cda). Una semplice regola capace di ridurre fortemente i rischi tipici degli organismi chiamati alle scelte di governo di un’azienda. Teniamo conto che invece, in generale nelle banche, i consiglieri di amministrazione sono scelti attraverso liste spesso autogenerate nella stessa banca, dal presidente in carica o nell’ambito finanziario strettamente collegato, con il rischio concreto che si creino legami e vincoli difficili da sciogliere. Soprattutto nel caso in cui un ristretto gruppo dirigente mostri troppa tolleranza verso prassi negative. In tal caso il membro del cda può essere indotto ad accettarle, sia perché si sente “scelto” (e pagato) per fare quel lavoro, sia perché può rivelarsi complicato, per un periodo di tempo anche abbastanza lungo, rendersi conto di cosa stia davvero succedendo. Sembra un’esagerazione, ma non lo è. In determinati contesti, la mole di controlli e responsabilità che fanno capo al cda è davvero notevole. I documenti possono essere lunghi, di complessa lettura e di elevato formalismo. Nei casi in cui si esercita il governo con malafede, un consigliere che non abbia un’attitudine “investigativa” potrebbe non rendersi conto di potenziali criticità che sono rese opache dagli stessi documenti che ha sotto gli occhi. D’altra parte, i consigli devono stabilire le linee strategiche per l’impresa e controllare che siano attuate, non fare gli investigatori.
2. TRASPARENZA SULLE SCELTE STRATEGICHE
La reputazione non si costruisce con un comunicato stampa in cui ci si dice da soli quanto si è bravi. La reputazione è un processo collettivo a cui partecipano soci, clienti, opinione pubblica. È necessaria quindi una disclosure su quelle che sono le scelte strategiche in materia di operazioni finanziarie, di tesoreria e di credito. Se si vuole valutare una banca sul piano dell’etica, un buon criterio può essere chiedere su quali progetti sta investendo i suoi fondi. Che fine fanno i soldi che depositiamo nelle banche? Il risparmiatore ha tutto il diritto di sapere se i suoi soldi vengono impiegati per finanziare l’economia reale o per scommettere al casinò della speculazione finanziaria.
3. TETTO AGLI STIPENDI DEI TOP MANAGER
Lo stipendio di un qualsiasi individuo, oltre che eticamente compatibile, dovrebbe essere sicuramente proporzionale alle responsabilità e agli obiettivi cui è chiamato ad assolvere ma anche alle skill e alle competenze oggettive (titoli di studio). Il rapporto tra lo stipendio più basso e lo stipendio più alto nel nostro sistema bancario è mediamente di 1 a 50.Ma ci sono Istituti di credito (come Banca Etica) in cui il rapporto tra lo stipendio più alto, quello del direttore generale, e lo stipendio di un neo assunto è di 4,74, nettamente inferiore alla media del settore. Il sistema bancario, invece di scrivere inutili e teoriche mission orientate alla equità, dovrebbe quindi dotarsi di una policy dei compensi trasparente nella quale fissare un limite alle remunerazioni e stabilire che il compenso del direttore generale non può essere superiore a sei volte a quello del collaboratore con il livello di inquadramento più basso.
4. CONTROLLO DEI SISTEMI DI INCENTIVAZIONE
Gli incentivi possano aiutare a indicare una giusta direzione da intraprendere per lo sviluppo di un’impresa, ma non possono diventare il fine ultimo. Anche perché la storia degli ultimi 20 anni lo ha confermato: i benefit hanno favorito la vendita al pubblico dei prodotti finanziari peggiori. Sarebbe necessario un controllo preventivo da parte di Consob o Bankitalia sui sistemi di incentivazione dei top manager e sulla corretta applicazione della Mifid nella disciplina dei benefit al management.
5. CERTIFICAZIONE DELL’ETICA DEL VENDITORE/CONSULENTE
Per tanti anni nel mondo della finanza italiana si è premiato chi vendeva di più e non chi vendeva meglio. Per la introduzione di un sistema che attesti la qualità del venditore dal punto di vista dei principi morali è necessario definire bene i parametri e i meccanismi di certificazione affinché non siano autoreferenziali. Basterebbe un esame basato sulla qualità della vendita attraverso una indagine di customer satisfaction fatta da un organismo terzo.
6. PLURALISMO PROFESSIONALE NEI CDA
Come si fa a scegliere un buon consigliere di amministrazione e garantirsi dunque l’onestà e l’etica di un consiglio? La prima barriera seria è quella dei requisiti di professionalità: persone che se ne intendono. L’Autorità bancaria europea (Eba) sta andando verso il criterio che imporrà a tutti gli amministratori di banca di essere esperti di finanza: professori universitari, avvocati. Peccato, però, che in certi casi siano anche quelli che hanno maggiori abilità e chance per potere ingarbugliare meglio la finanza. Sarebbe quindi opportuno che nei consigli di amministrazione ci fosse un buon mix di professionalità e competenze, tra cui anche quelle ambientali, o quelle sulla responsabilità sociale dell’impresa. Un consiglio con una buona biodiversità senza dubbio è maggiormente in grado di garantire un buon governo dell’azienda attraverso una sana dialettica. La seconda barriera riguarda l’onorabilità finora valutata solo attraverso il certificato dei carichi pendenti. Un passo in più rispetto al casellario giudiziale forse si potrebbe fare. Una buona reputazione può essere evidenziata dal curriculum o da soggetti terzi e dovrebbe essere valutata positivamente dall’assemblea e quindi dallo stesso consiglio eletto, che sono i primi garanti dell’adeguata composizione del consiglio. Per esempio valutare se questa persona ha manifestato in passato attitudini che la rendano degna del compito, se ha esperienze nel no-profit, nel vontoriato o in inziative filantropiche oppure se ha un consneso popolare positivo. Viviamo in un mondo in cui si prendono per buone referenze di un hotel o di una trattoria pubblicate dalla collettività su TripAdvisor, non vedo perché non si possano ascoltare dalla collettività anche le referenze – in senso positivo – su una persona in particolare.
A cura di Vincenzo Imperatore