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Come difendersi dai derivati (Seconda puntata)
La più grande menzogna che le banche hanno perorato in questi anni ruota proprio intorno ai derivati.
Hanno tutte negato di fronte all’evidenza. Hanno negato di aver agito in modo approssimativo e subdolo, scoprendosi al tal punto da rischiare una montagna di cause legali.
Nelle banche tutti erano coscienti dei rischi che la sottoscrizione di un derivato comportava. Lo sono tuttora, al punto che vogliono addirittura evitare di arrivare in tribunale per non correre un “rischio reputazionale” che ha elevatissime probabilità di essere sopportato.
Ricordo ancora il tono delle circolari. Parlavano da sole, trasudavano paura e allerta.
«Come da ultimo segnalato dal direttore generale, lo sfavorevole andamento dei mercati determina con crescente frequenza l’insorgere di vertenze promosse da clienti che – facendosi talora assistere da legali in possesso di una profonda conoscenza del complesso delle norme che regolano l’attività di intermediazione finanziaria – tentano di scaricare sul nostro istituto le minusvalenze cui sono andati incontro con investimenti, specie se ad alto rischio. In questi casi, soltanto la perfetta aderenza alle disposizioni Consob ci consente di opporre una valida resistenza».
Ecco il punto: sapevano e sanno di aver disattese le disposizioni Consob. Era sottinteso che su tanti fronti si agiva in modo approssimativo.
E infatti: «Purtroppo, in numerose occasioni sono state invece riscontrate mancanze che hanno reso praticamente indifendibile la nostra posizione e hanno quindi indotto ad assecondare – se non in toto, con transazioni fortemente squilibrate a nostro sfavore – le pretese avanzate anche da controparti tutt’altro che in buona fede».
Ma quali erano le carenze più frequenti che individuano il “tallone di Achille” delle banche?
Le evidenzia lo stesso documento riservato: «Omessa consegna del “Documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari”, in assenza di copia sottoscritta da tutti gli intestatari del rapporto», e poi «Omessa o irregolare sottoscrizione del contratto di deposito e per la negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini in strumenti finanziari, nonché dell’atto integrativo».
E ancora: «Mancato ritiro di ordini/schede di sottoscrizione regolarmente firmati e omessa registrazione degli ordini accolti per telefono».
Segue l’ammissione: «È noto che la mancanza degli ordini di compravendita configura l’attività come “gestione non formalizzata” delle disponibilità dei clienti, attività tassativamente vietata dalle disposizioni Consob e che, di conseguenza, ci vede automaticamente perdenti in tutti i casi di mancato guadagno per il cliente».
Ma di carenze ce ne sono molte altre. Le falle di procedura, in quegli anni, erano all’ordine del giorno e più ci si guardava intorno e più emergevano irregolarità.
Le banche temevano (e temono) «la mancata consegna, ove previsto, dei prospetti informativi» e «la conclusione, in assenza di specifica autorizzazione, di operazioni non adeguate alla situazione finanziaria e agli obiettivi di investimento del cliente, quali risultano dalle dichiarazioni rese all’avvio del rapporto o, in caso di rifiuto al loro rilascio (da far constare sull’apposita modulistica), dalla conoscenza del cliente comunque acquisita nel corso del rapporto»; oppure «la vendita di prodotti derivati Otc con promesse di alti rendimenti e rischi contenuti a clientela che, pur dichiarandosi “qualificata”, si rivela – alla prova dei fatti – non in grado di comprendere e controllare l’operazione proposta e realizzata».
Non c’è bisogno di aspettare. Basta rivolgersi a professionisti qualificati e vi sarà restituito quanto vi e’ stato sottratto con l’inganno.
A cura di Vincenzo Imperatore