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RISPARMI, IL BLUFF DELLE COMMISSIONI DI GESTIONE
Tratto da Lettera 43
I danni causati ai risparmiatori del nostro Paese che hanno investito le loro disponibilità in strumenti del “risparmio gestito” (fondi comuni, gestioni patrimoniali, polizze vita e fondi pensioni) non dipendono solo dalla volatilità dei mercati e quindi dall’incapacità degli analisti di “anticipare” il verificarsi di una determinata tendenza.
Questo gigantesco serbatoio che vale 1.900 miliardi di euro presenta infatti ogni anno, indipendentemente dalle quotazioni, un conto di circa 23 miliardi di euro agli italiani.
Si tratta di 23 miliardi di euro dei risparmi degli italiani che si volatilizzano soprattutto per effetto del pagamento delle commissioni di retrocessioni (o rebates) che vanno a remunerare chi consiglia e vende prodotti finanziari e ha la relazione diretta con il cliente (promotori finanziari e reti bancarie)
COSTI ECCESSIVI. Il concetto è molto semplice: se il risparmiatore vuole farsi gestire il proprio patrimonio da un team di esperti deve pagare un costo (commissione di gestione). E fin qui sembra tutto logico.
Il problema nasce quando ci si accorge che quei costi sono eccessivi perché il “gestore” non solo deve remunerare se stesso per il lavoro di analisi e di asset allocation, ma deve anche “incentivare” i distributori a collocare quei prodotti.
E sapete qual è il peso e la proprorzione tra i due soggetti? Solo un terzo delle commissioni di gestione va a chi crea e gestisce prodotti del risparmio gestito, mentre due terzi vanno ai collocatori, cioè alle banche e alle reti di promotori finanziari (che molto spesso sono controllate dalle banche).
PROBLEMA SOCIALE. Un sistema arcaico e inefficiente che viene pagato, in ultima istanza, dal risparmiatore e dalla collettività perché quei 23 miliardi annui rappresentano anche un costo sociale visto che ciò che va nelle tasche delle banche e che viene riversato parzialmente tra Irlanda e Lussemburgo (dove ci sono le “fabbriche di prodotto”) potrebbe invece trasformarsi in pensioni più alte e maggiori investimenti produttivi.
Ma questo discorso è troppo alto da affrontare al momento.
Dedichiamoci ai risparmiatori e cominciamo col dire che se il costo della gestione di un fondo è così elevato (mediamente circa il 2%) perché mai un cittadino dovrebbe investire in “gestito” se poi un Btp decennale rende quasi il 2% e ha la certezza del capitale?
MODELLI DA RIVEDERE. Magari se si calmierassero un po’ i livelli commissionali (soprattutto la parte retrocessa alle banche) potrebbero sicuramente migliorare i rendimenti dei portafogli.
E questo può avvenire attraverso la rivisitazione del modello distributivo 2.0 e grazie a un miglior utilizzo delle piattaforme tecnologiche e del web.
In tal modo si consentirebbe l’accesso anche ai piccoli e medi risparmiatori evoluti e consapevoli che non hanno bisogno della consulenza finanziaria (sempreché lo sia) del professionista che dovrebbe, in caso di necessità, essere pagata a parte e non nascosta nelle pieghe della commissione di gestione attraverso la formula all inclusive costosa e – ormai i casi sono ecaltanti – non di qualità.
Quando inzieremo ad affrontare, anche a livello politico, un problema che investe una somma pari all’1,5% del Pil del Paese?