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Punire le banche? Lo fanno quando i buoi stanno già scappando
Eccesso normativo, ma anche libertà di scelte strategiche: così gli istituti hanno scatenato la grande crisi. Multe, vigilanza e consiglieri non servono a nulla. Il paradosso dell’autoregolamentazione.
Articolo di Vincenzo Imperatore su Lettera43
Nella puntata precedente abbiamo affrontato il tema del presunto “buon governo” bancario evidenziando il paradosso che l’eccesso normativo che oggi disciplina quasi tutto (organi, amministratori, procedure e sistemi di controllo interni, gole profonde) non evita comunque le infrazioni che sono ancora così tante e diffuse. Evidentemente qualcosa non funziona. Ma cosa? Come si possono spiegare queste contraddizioni?
POCHI LIMITI AGLI INVESTIMENTI. Intanto esiste un’originale (quanto strana) criticità intrinseca nel settore finanziario: si applica decisamente l’idea di Adam Smith dell’autoregolazione del mercato e nello stesso tempo si assiste a una pressante azione regolatoria dei processi decisionali e dei parametri di buon funzionamento organizzativo ed economico da rispettare. Tutto ciò si traduce nel fatto che ci sono pochi limiti agli investimenti o alle scelte strategiche delle banche, ma ci sono tanti vincoli (formali) sulle modalità di governo delle stesse.
Facciamo degli esempi. Non è assolutamente vietato alle banche proporre derivati speculativi e nemmeno viene limitato il loro uso in proporzione ad altri strumenti. Però la modalità con cui si decide di operare deve essere fatta in modo da porre in atto tutte le attenzioni rispetto ai rischi che corre la banca o i suoi clienti e alla sana e prudente gestione (comitati di analisi del rischio, analisi di conformità alle norme).
COMITATO PER I PRESTITI. Altro esempio. Non è assolutamente vietato effettuare finanziamenti a realtà collegate agli esponenti aziendali apicali. Però, nel caso siano fatti questi prestiti, si devono mettere in atto procedure che garantiscano un’analisi più approfondita e per i casi più significativi deve addirittura intervenire un comitato di consiglieri indipendenti (comitato parti correlate) che deve dare una suo giudizio in merito.
CONSEGUENZE NEGATIVE. Nella pratica questa bizzarra modalità genera due conseguenze negative: da un lato il blocco di qualsiasi innovazione (anche se positiva per la gestione della banca) per la paura di assumersi responsabilità e dall’altro la pratica di “addomesticare” le procedure in modo che siano formalmente corrette ma che, allo stesso tempo, consentano di fare operazioni potenzialmente pericolose.
Sappiamo tutti che le banche sanzionate negli ultimi anni per malagestio quasi mai avevano saltato clamorosamente i passaggi di buona governance: i consiglieri indipendenti erano presenti, la onorabilità dei consiglieri era verificata, i comitato di controlli si riunivano. Ma è un fatto altrettanto evidente che, cosi come ci riferisce il presidente di una banca, la violazione delle norme da parte delle banche non risulta così difficile da compiere nel breve periodo e soprattutto si può avere la speranza (come nel gioco d’azzardo) di riuscire a rimettere a posto le cose prima che qualcuno se ne accorga. Perché?
CONSIGLIERI VINCOLATI. I consiglieri di amministrazione sono scelti attraverso liste spesso auto generate nella stessa banca, dal presidente in carica o nell’ambito finanziario strettamente collegato. Il presidente mi ha riferito che «se sei scelto come consigliere hai un legame non formale, ma potenzialmente sostanziale, con colui o coloro che ti hanno scelto. Nel caso in cui esiste da parte di un ristretto gruppo dirigente un livello di tolleranza verso prassi negative si è portati ad accettarle, sia perché si è stati scelti (e pagati) sia perché può essere oggettivamente difficile rendersi veramente conto di cosa sta succedendo per un periodo di tempo abbastanza lungo».
GRANDE MOLE DI CONTROLLI. Quest’ultimo fatto non è secondario, continua il mio interlocutore. «La mole di controlli e responsabilità che formalmente fanno capo al consiglio di amministrazione è notevole. I documenti sono spesso lunghi, di complessa lettura e di elevato formalismo. La loro eventuale semplificazione presuppone una fiducia totale in chi li redige o li porta in consigli di amministrazione. Un consigliere che non abbia un attitudine “investigativa” potrebbe non rendersi conto per periodi relativamente lunghi di potenziali criticità che sono rese opache nei documenti. D’altra parte i consigli devo dare le line strategiche per l’impresa e controllare che siano attuate, non fare gli investigatori. Quindi il problema non è di semplice soluzione».
Nella realtà, se si esamina i rilievi al cda di Banca Etruria ci si rende conto che concedere finanziamenti rischiosi a realtà collegate ai consiglieri di amministrazione era una prassi, evidentemente consolidata. In tal caso è difficile pensare che tutto il consiglio non ne fosse consapevole, così come pure è difficile credere che nel 2013 la conversione in capitale della banca di 100 milioni delle obbligazioni emesse nel 2011 non prefigurasse una situazione di estrema criticità, visto che è avvenuta a seguito dei rilievi di un ispezione di Banca d’Italia. Ancora di più l’emissione e le modalità di vendita del prestito obbligazionario subordinato del giugno 2013 denotano un cattivo governo volto solo a tentare di salvare la banca (e i suoi vertici), ma senza pensare alle conseguenze per i risparmiatori che venivano coinvolti.
SANZIONI TROPPO TARDIVE. L’apparente contraddizione tra eccessiva regolazione e il principio dell’autoregolazione dei mercati forse con questi esempi diviene più chiara. «Nel modello di controlli, soprattutto di matrice anglosassone», dice il presidente, «il processo deve essere istruito secondo criteri definiti e in un certo senso si dà per scontato che questo avvenga in modo “fair”, a partire dal rigore morale degli attori in gioco. Poi l’operatore è libero di operare come ritiene meglio. Ma se salta la prima parte del discorso, se contano le amicizie, gli interessi personali, o addirittura i comportamenti disonesti, allora le capacità sanzionatorie e di ostacolo a comportamenti fraudolenti arrivano troppo tardi o in modo inefficace».
Le multe miliardarie sui comportamenti fraudolenti delle principali banche mondiali sui mutui subprime sanciscono due cose: che le banche sono responsabili della crisi iniziata nel 2008 e che quello che le banche hanno pagato per averla generata non solo non è paragonabile ai danni creati, ma è di gran lunga inferiore a quanto le stesse banche hanno guadagnato con quei comportamenti fraudolenti.
POCHI RIMBORSI ALLE VITTIME. Le multe che arrivano in ritardo e relativamente basse quindi non rappresentano un disincentivo. L’Italia da questo punto di vista non fa eccezione e anche le multe erogate per i casi più clamorosi degli ultimi anni non sono certo determinanti. L’economista della Stanford University Anat Admati ha spiegato alFinancial Times che «le multe sono viste come un costo associato alle attività di business. Non vanno al cuore del problema e non sono efficaci nel far cambiare i comportamenti perché rimangono in atto forti incentivi a perseguire le stesse pratiche». Gran parte delle sanzioni finiscono poi nelle casse del tesoro (americano o inglese) e solo una piccola percentuale (5%) viene riconosciuta alle vittime delle frodi.
Vi è infine un altro fatto tecnico che ci fa capire perché le prassi di “cattivo governo” siano frequenti e resistenti. La vigilanza interviene soprattutto quando i requisiti patrimoniali scendono sotto il livello minimo: in pratica quando i buoi stanno già scappando dalla stalla (quindi forse non tutti son scappati, ma una buona parte sì). Se a questo si somma la possibilità che tale criticità si è raggiunta per cattiva o fraudolenta gestione, allora non è improbabile che la realtà patrimoniale e di bilancio sia ben peggiore di quello che appare (e infatti il livello dei crediti deteriorati e di criticità delle banche in risoluzione è aumentato dopo gli interventi di risanamento).
UN MERCATO DA LIMITARE. Come scrive in un editoriale de Il Sole 24 Ore dell’8 ottobre 2016 Donato Masciandaro a proposito delle sanzioni: «Ma forse allora la notizia è che le autorità di controllo, siano esse le banche centrali o in generale i supervisori bancari e finanziari, hanno finalmente compreso che la finanza non è fatta per meccanismi di autoregolamentazione. Il connubio tra efficienza dei controlli ed efficacia degli stessi è un equilibrio desiderabile ma difficile da ottenere, e va ricercato dalle autorità certo ascoltando il mercato, ma mai facendosi da esso catturare, oppure sostituire».
I PREZZI IN MANO ALLE BANCHE. E ancora: «Se i prezzi non sono il risultato di scambi continui, centralizzati e trasparenti, si creano rendite di posizione, e i soggetti privilegiati, tipicamente i banchieri, potranno sempre avere la tentazione di approfittarne. Eppure, nonostante le cronache degli ultimi anni siano costellate di manipolazioni finanziarie sui prezzi, chi continua a fissare prezzi fondamentali come il Libor, o l’Euribor, o quello che una volta si chiamava il Ribor? Sempre le banche. Evidentemente alle autorità di controllo andava e continua ad andare bene così». E le soluzioni? Già ho utilizzato troppe “battute”, la redazione mi bacchetta. Alla prossima.