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Pmi, manuale di sopravvivenza al cambiamento
Individuare e rimodulare le forze contrarie è un’operazione necessaria. Altrimenti i nuovi manager rischiano di rimanere schiacciati. E l’azienda di restare imbrigliata nei problemi di sempre.
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore su Lettera43
Ci siamo spesso chiesti perché il piccolo imprenditore sia poi così resistente al cambiamento. Una resistenza talvolta sadica e autolesionista, sicuramente avallata da una serie di “forze contrarie” che tenteremo di spiegare. Ci sono tante piccole e medie imprese (Pmi), tra cui alcune storie direttamente osservate, che tentano di affrontare il cambiamento inserendo nuovi manager e collaboratori in organico.
IL FRENO DELLA CULTURA PADRONALE. Le aziende a cui facciamo riferimento sono cresciute con una forte cultura padronale in cui i processi decisionali sono stati accentrati; in questi contesti si dà poco valore alle competenze manageriali diffuse perché prevale la cultura dell’operatività e del fare. In questa cultura quando le cose non vanno bene si tagliano i costi di tutti i tipi, anche quelli che in realtà sono investimenti per l’azienda. Da qualche parte si cerca l’incapace. Qui “riflettere sul modo di fare le cose e sui modi di pensare” è sprecare tempo, quello che conta è agire. Ricordiamo, però, che questa cultura intanto ha permesso all’azienda di traghettarsi verso la fase di crescita e di maturità. E quindi ha già prodotto dei risultati mentre tutto ciò che si vuole cambiare ancora no (nella propria azienda).
LE FRIZIONI TRA VECCHIO E NUOVO. Ma cosa succede quando poi il mercato suggerisce la necessità di creare professionalità più strategiche e meno orientate al fare? Si delinea innanzitutto per l’azienda il bisogno sia di sviluppare ruoli organizzativi già presenti, sia di creare nuovi ruoli caratterizzati da più ampie visioni. Alcuni manager escono dall’azienda, in quanto non ritenuti in linea con i nuovi indirizzi. Nuovi manager entrano e cominciano “a opporsi in modo evidente” al vecchio ma consolidato modus operandi. E trovano così, sul proprio percorso, ostacoli messi sia dalla proprietà sia dal vecchio management che, forte di una cultura padronale, fatica a seguire il ritmo del cambiamento.
Nell’arco di un anno i “nuovi manager” perdono la fiducia in se stessi, spesso è la proprietà che mette in discussione il loro operato e partono critiche di vario genere. La cultura dell’operatività prevale a volte anche sotto forma di consulenti “tuttologi” e interessati al “non cambiamento”. Rientrano in azienda anche i vecchi manager. Gli stessi imprenditori tacciano i nuovi (inseriti come Responsabili di unità di business o semplici addetti a funzioni strategiche) di incompetenza a tal al punto da renderli responsabili dello stato di salute economico-finanziario dell’azienda.
CLIMA NEGATIVO E CLIENTI INSODDISFATTI. Probabilmente in una visione di breve periodo questo è riscontrabile, ma se poi osserviamo gli indicatori del benessere aziendale di lungo periodo – quali il clima organizzativo interno negativo, la presenza di problemi annosi che si ripetono, scadenze di grandi progetti non rispettate, un indice dicustomer satisfaction che non va oltre 80% (sempre che venga misurata) o che presenta insoddisfazioni importanti tra i clienti, turnover elevato tra le competenze specialistiche, difficoltà a fare recruiting su competenze specialistiche (perché l’azienda potrebbe non godere di una buona reputazione come luogo di lavoro) – possiamo dire che la cultura di stampo gerarchico funzionale è fallimentare.
IL “MOTORE DEL CAMBIAMENTO”. Cosa è successo quindi? I nuovi manager, pur avendo le giuste competenze e le corrette visioni, erano “costretti” a correre e chiedevano tempi troppo rapidi per permettere agli altri di seguire la nuova impostazione e affermarsi loro stessi come veri leader capaci di avere dei follower, assurgendo quindi a “motore del cambiamento”.
Non è facile per il piccolo imprenditore, perché abbandonare consuetudini comportamentali, visioni di se stessi e del mondo che qualcuno definisce desuete e non più funzionali richiama a nostra insaputa pensieri e sentimenti che si provano quando si perde qualcosa di caro. Per passare a una nuova condizione prima di tutto occorre rendersi conto di quello che sta accadendo e superare la fase della negazione. Successivamente si fa di tutto per ripristinare lo stato esistente attivando forme di resistenza al cambiamento. In fondo, questo è un passo avanti perché almeno i protagonisti del cambiamento si rendono conto che qualcosa non è più come prima.
DALLA RASSEGNAZIONE ALL’INTEGRAZIONE. Il punto di svolta è dato dalla rassegnazione, si smette di lottare contro il cambiamento e si utilizzano le proprie energie per accettare la realtà per quella che è. L’ultima fase è un nuovo modo di vedere e la scoperta di modi di comportarsi più funzionali allo sviluppo e alla crescita: si chiama integrazione. Queste fasi sono tutte accompagnate da emozioni predominanti come rabbia e paura prima, tristezza poi, gioia ed entusiasmo dal momento dell’accettaione in avanti.z
Il coaching aiuta imprenditori e manager a traghettarsi nel mondo delle emozioni dove spesso non sono così competenti. Ma occorre avere pazienza e sapere gestire il tempo e le “forze contrarie”. Kurt Lewin afferma che l’organizzazione può essere considerata come un insieme di forze favorevoli e forze contrarie al cambiamento. Lewin sostiene che nulla accade all’interno dell’azienda quando l’intensità delle due forze si eguaglia. Un ruolo fondamentale tra le forze contrarie lo svolgono i professionisti e i consulenti “interessati” a mantenere lo status quo.
Lewin dice che quando le forze contrarie prevalgono sulle forze favorevoli l’azienda ha difficoltà a implementare il cambiamento. Se invece le forze favorevoli hanno la meglio, il cambiamento potrà essere implementato con maggiore facilità. Il coaching è un percorso attraverso il quale si individuano a livello prima di tutto personale e poi aziendale le forze favorevoli per potenziarle; allo stesso tempo si tracciano le forze contrarie presenti nell’imprenditore, nei manager e nella organizzazione. Quindi si fa un lavoro di rimodulazione di ciò che ancora serve di quelle forze contrarie. Solo così si sviluppano occasioni per dirigere il cambiamento. Altrimenti è il buio.