By: gestione
Parliamo di Finanza etica con Vincenzo Imperatore
http://www.zestletteraturasostenibile.com/parliamo-finanza-etica-vincenzo-imperatore-lautore-vi-accuso/
Dopo un successo che è sotto gli occhi di tutti con i tuoi libri di denuncia Io, vi accuso (recensito da ZEST qui), Io so e ho le prove, credo ci siano poche cose che si possano ancora chiedere su questo tuo atto di lealtà ed etica, vorrei allora pensare, per questa intervista a un taglio diverso, ovvero all’utilizzo di questa esperienza, l’idea è uscire da questa chiacchierata con una specie di check list di indicazioni operative facendo un distinguo tra cittadino privato e impresa. La prima domanda è tuttavia introduttiva e ti chiedo semplicemente “perché” hai sentito il bisogno di questo?
Perché’ volevo liberarmi innanzitutto di un peso che negli anni era diventato pesantissimo; quello della responsabilità nei confronti dei miei collaboratori che mi avevano seguito pedissequamente negli “anni delle vacche grasse” e che, come spiego nel libro, dal 2008 in poi erano stati individuati dal top management (che si deresponsabilizzavano completamente) come gli unici artefici di quello scempio. Come se a costruire quei prodotti spazzatura, a dettare le politiche commerciali aggressive, a fare le pressioni fossero state le ultime ruote del carro e non gli stessi manager che avevano riempito i loro portafogli di premi e benefits. E poi probabilmente avevo il bisogno interiore di fare altro perché sostanzialmente non mi ero mai sentito omologato al “bancario” stereotipato, ero sempre stato “diverso” nello stile di vita, negli atteggiamenti, nella gestione degli uomini e perfino nella comunicazione. Ero un anarchico allineato.
Quali sono le prassi non “etiche” adoperate a “minor tutela” del comune cittadino e in che tipo di prodotti si esplicano?
Mi dai 5.000 battute per rispondere solo a questa domanda ? Scherzo, ma se proprio vogliamo riassumere due libri e 25 anni di esperienza direi che gli atti meno etici sono la manipolazione del profilo di rischio dei risparmiatori. Oggi ne parlano tutti ma quando l’ho denunciato nel primo libro 30 mesi fa sembravo un marziano!. Ti facevamo diventare un guru della finanza rispondendo noi alle domande e possibili obiezioni, per verificare il nostro grado di conoscenza dei rischi finanziari, e poi la pressione psicologica nei confronti dei clienti affidati (soprattutto piccole aziende a cui si prestano soldi) per fare in modo che comprassero ciò che ci interessava, minacciando subdolamente che altrimenti non avrebbero avuto vita facile in futuro…
Spesso i contratti vengono firmati in stato di fiducia e oltremodo le persone di cultura anche medio-alta non sono in grado di decifrare correttamente un linguaggio ostico, quali strumenti ci sono per noi utenti?
Lo ripeto da tre anni ormai: affidarsi a consulenti veramente indipendenti (che non hanno nessun conflitto di interessi con la banca) e, soprattutto le piccole imprese, iniziare a investire in formazione. Non possiamo più dire che “non sapevamo”.
In che modo a tuo avviso le persone sono “influenzabili” mi spiego, nei tuoi testi tu parli di “vendita d’assalto” motivata da efficaci premi di produzione e da una formazione orientante, ma qual è la leva su cui si agisce maggiormente?
Lo stato di bisogno di chi richiede un prestito-finanziamento. Io bancario ti faccio credere che non potrai mandare tuo figlio all’Università’ ( se sei venuto a chiedermi 5.000 euro di prestito con quella finalità) se non compri pure un tablet o un televisore. Si tratta di sciacallaggio puro su bisogni inesistenti ma che purtroppo “devi” soddisfare per garantire altri bisogni primari
Facciamo un esempio pratico: oggi ricevo una lettera promozionale, senza fare riferimenti di brand leggo della proposta di una “carta” che ha un fido, iniziale autorizzato da utilizzare come si vuole, per fare acquisti o prelevare, il che determina l’utilizzo di una parte di credito a disposizione riducendo il fido iniziale disponibile, poi ricaricando mensilmente della rata pattuita si ricarica il credito della carta con una disponibilità di spesa pari all’importo saldato. Di cosa stiamo parlando e seconde te quali sono le informazioni che si devono approfondire?
Stai parlando delle carte revolving o da me definite “revolver” perché mi fanno pensare alla rivoltella che viene purtroppo puntata alla testa del malcapitato cliente. L’ennesimo risultato della crisi economica e dello sciacallaggio bancario è il collocamento di massa da parte del sistema bancario (ma anche finanziario e di società commerciali in genere) della carta di credito revolving, un nuovo tipo di prestito, facile da ottenere, per questo molto più caro, e che permette di comprare oggi e pagare in rate mensili, invece che a saldo il mese successivo come si fa con le carte di credito tradizionali. Un meccanismo semplice: il cliente ha a disposizione una somma di denaro da utilizzare a piacere, in un’unica volta o in più occasioni, che può restituire con comodi rimborsi mensili. Quando la usa, la sua disponibilità diminuisce, ma si ripristina automaticamente a ogni rimborso rata. Ogni rata comprende una quota capitale e una quota interessi. La quota capitale va a ripristinare il credito disponibile. Così il suo credito non si esaurisce e lui puoi contare sempre su una riserva di denaro che è come una droga per chi deve affrontare con difficoltà le ordinarie spese quotidiane.
La “ricostituzione” continua del credito disponibile con rimborsi minimi mensili (mediamente tra il 3% e il 5% della linea di credito concessa) e gli eventuali nuovi utilizzi comportano una durata non predeterminata del finanziamento ma la rata non cambia. I venditori-squali delle banche te la spiegano come se fosse l’affare della vita: avere a disposizione sempre una sorta di “salvadanaio” che si riempiva man mano che ripagavi la rata mensile. Quanto sono bravi i bancari a modificare le leggi macroeconomiche: trasformare il credito in risparmio a usura. Keynes li perdonerà. Questo tipo di carte nasconde un meccanismo perverso di moltiplicazione dei tassi d’interesse per cui sembra che non si finisca mai di pagare. Soprattutto perché la banca e la finanziaria non fanno il computo del debito residuo e poi perché sulle carte di credito revolving il tasso viene applicato a livello mensile e non annuale.
Inevitabile, dunque, che la situazione possa sfuggire di mano al cliente.
Quanto è complice a tuo avviso il cittadino stesso in tutto questo? Accrescimento della capacità di esposizione per aumento della percezione dei bisogni o effettivi effetti della crisi? riusciamo a fare una mappatura del cliente “bancabile”?
Il cliente complice (quindi consapevole e che ora si sguazza nel mare magnum delle crisi bancarie) rappresenta non più del 5% del totale. Il resto e’ clientela raggirata secondo la regola non scritta in banca che veniva insegnata fin da “piccoli”: in banca non si dicono bugie ma non si dice nemmeno tutto! Cioè l’omissione e’ una tecnica commerciale determinante per vendere un prodotto bancario.
Per le imprese le note sono anche più dolenti, avendo alle costole un loop aggressivo dovuto non solo agli oneri finanziari e alle negate linee di accesso al credito ma anche altri creditori privilegiati (Stato, Equitalia, Inps). Cosa non si è fatto secondo te a sufficienza per salvare dal default il sistema di piccole e micro imprese e quali le colpe maggiori del sistema bancario?
Non si è fatta (e non si fa) formazione ! Se si pensa che un nostro figlio arriva alla laurea (tranne quella in economia e Commercio) senza aver fatto un’ora di lezione di finanza! La lobby bancaria vuole anche questo! Mantenere nell’ignoranza il cittadino e l’imprenditore per poter agire più liberamente . E la politica non fa nulla a riguardo: finora nonostante tutto quello che sta succedendo, non ho sentito nessuno avanzare una proposta per introdurre nelle scuole almeno un’ora di educazione finanziaria basica!
Credo che il fabbisogno finanziario di un’impresa specie a regime sia direttamente connesso con una buona governance e capacità manageriale, in questo incidere sull’efficienza aziendale e su avvedute politiche commerciali è il primo livello di crescita e sopravvivenza. Che strumenti ha l’impresa e quanto conta e può fare la formazione imprenditoriale?
Noleggiare il CFO (il direttore finanziario) secondo una formula che la mia società di consulenza sta adottando anche per incidere in maniera graduale sui costi dell’impresa. Il CFO deve fare anche coaching e formazione oltre che programmare e controllare le dinamiche finanziarie. Poi penserei alla formazione dei collaboratori del CFO e poi a creare un sistema di controllo di gestione. Infine penserei a sviluppare una capacità di negoziazione pari a quella che gli imprenditori hanno con gli altri fornitori: perché con le banche abbassiamo la testa e con i nostri fornitori delle materie prime siamo capaci di negoziare prezzi, qualità del prodotto e modalità di distribuzione? Semplice! perché siamo preparati in quella materia. La formazione è fondamentale ma soprattutto l’imprenditore deve capire che è un investimento e non un costo. La formazione è per definizione l’antidoto per eccellenza contro l’obsolescenza professionale e imprenditoriale. Infine sviluppare una capacita’ di denuncia che nel nostro paese latita quando dall’altro lato ci sono poteri forti. Più denunciamo più calmieriamo gli sciacalli.
Quali alternative ha oggi l’impresa per una finanza etica?
Fare finanza etica e’ solo un aspetto del fare impresa etica per cui ritengo che un profondo processo di cambiamento culturale debba esserci anche dall’interno dell’impresa che può rivolgersi a players etici (pochissimi nel nostro paese) ma anche migliorando l’approccio alla supply chain e quindi nel rapporto clienti-fornitori. Se continuiamo ad avere gli stessi atteggiamenti nei confronti dei nostri clienti-fornitori sulle dinamiche di incasso-pagamenti , allora non dobbiamo meravigliarci delle banche.
E’ notorio il tuo impegno politico a fianco di De Magistris, ci puoi sintetizzare l’idea alla base del tuo programma?
Voglio mettere a disposizione della mia città il mio know-how e il mio percorso attraverso quattro progetti che possano essere sostenuti da danaro pubblico per chi non ne ha la possibilità’ e che praticamente rappresentano un appendice alle risposte che ti ho dato precedentemente alle tue interessanti e “distintive” domande:
FORMAZIONE AI MICRO-PICCOLI IMPRENDITORI
SPORTELLO DEL CONSUMATORE BANCARIO
LABORATORIO DI SVILUPPO START UP NAPOLETANE
Ritornando invece ai libri hai in mente un altro progetto?
Meriti un anteprima assoluta 🙂 …..scadenzati per la primavera 2017!
Su ZEST si parla di sostenibilità, è chiaro che la prima sostenibilità per l’impresa è quella del suo stesso ecosistema, ma non dobbiamo dimenticare che l’impresa ha una responsabilità sociale di restituzione delle risorse sottratte all’ambiente e di non incidenza sulla spesa pubblica per il contenimento dei suo impatti oltre al fatto che è responsabile di un welfare interno. Cosa si deve fare oggi a tuo avviso per essere una “impresa buona” oltre che una “buona impresa”? Una impresa buona nasce da un imprenditore buono che abbia una coscienza etica, che non sfrutti la forza lavoro, che rispetti i suoi clienti-fornitori e che faccia veramente customer satisfaction. Il problema è tutto lì: per essere una impresa buona devi garantire il miglior prodotto-servizio al tuo cliente in una logica di profitto. Una equazione difficilissima da realizzare (per il piccolo imprenditore soprattutto ) se poi i modelli di riferimento sono i manager bancari.