By: gestione
Pagare gli interessi sugli interessi
Dal gennaio 2014 c’era una chiara norma anti-anatocismo. Me dal primo ottobre sono arrivate nuove modifiche: teoricamente perché si tornino a calcolare gli interessi sugli interessi serve un accordo tra creditore e debitore. Ma in pratica se non c
Articolo a firma di Fabrizio Patti tratto da “LINKIESTA.IT”
«Abbiamo fatto 20 anni di battaglie giudiziarie contro l’anatocismo, dalla Corte dei Conti alla Corte Costituzionale. Abbiamo ottenuto quattro sentenze a favore. Ora questa norma, scritta da maggiordomi delle banche, cancella tutto». Elio Lannutti, presidente dell’associazione di consumatori Adusbef, è parte in causa, in senso metaforico e letterario. Ma il modo in cui commenta l’entrata in vigore, dallo scorso 1° ottobre, delle nuove norme contro l’anatocismo, ossia l’applicazione di interessi sugli interessi, la dice lunga sul clima che si respira nel mondo delle associazioni di tutela dei clienti delle banche. La loro denuncia, a cui però va sommata anche del deputato Pd Francesco Boccia, è che l’anatocismo, formalmente vietato, torni dalla finestra.
Per capire che cosa sia l’anatocismo, facciamo un esempio: se io chiedo un prestito al 2%, su una somma di 100 e non restituisco nulla, con la pratica dell’anatocismo dall’anno successivo gli interessi si calcolano non più su 100 ma su 102. Quello dopo da 104, 04 e così via. La materia è delicata e soggetta a semplicazioni e qualche abuso sia da parte degli istituti di credito che dei debitori. In teoria la pratica è sempre stata vietata (tranne per alcune fattispecie) ma per decenni ci sono state interpretazioni giurisprudenziali dell’articolo 1.283 del Codice Civile che hanno permesso alle banche di andare avanti ad attuarla. Inoltre era pratica frequente quella di applicare gli interessi non ogni anno ma ogni tre mesi. Le cose sono cambiate con due sentenze della Corte di Cassazione nel 1999, secondo le quali l’anatocismo era un accordo illecito tra banca e cliente. Perché? Perché secondo la Corte si trattava di un accordo anteriore alla maturazione degli interessi oggetto di capitalizzazione. Secondo il Codice Civile l’anatocismo è lecito se c’è un accordo posteriore alla maturazione degli interessi, se riguarda interessi dovuti per almeno sei mesi, se c’è un accordo tra creditore e debitore oppure se c’è una domanda giudiziale del creditore contro il debitore.
La legge di Stabilità del 2014 sembrava aver fatto chiarezza, su un punto: si creava una sorte di “monte interessi”, che non venivano sommati al capitale da restituire
Tecnicismi a parte, da allora è iniziato un lunghissimo braccio di ferro tra banche e rappresentanze dei consumatori per regolamentare la materia. La principale novità è arrivata con la legge di Stabilità del 2014 che modificava l’articolo 120 del Testo Unico Bancario. Un emendamento dello stesso Boccia sembrava aver fatto chiarezza, su un punto: “gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”. Le incertezze riguardavano il fatto se questa norma dovesse essere subito operativa oppure se fosse necessario attendere che il Comitato Interministeriale del Credito e Risparmio (Cicr) emanasse la nuova delibera applicativa, prevista dal Testo unico bancario. Tribunale di Milano, Corte d’Appello di Genova e Corte di Cassazione decisero che bisognava considerare da subito inapplicabile, come spiega su Diritto24 l’avvocato Andrea Sganzerla. Le banche, quindi, avevano il diritto di chiedere il pagamento degli interessi solo una volta che gli stessi fossero divenuti esigibili (cioè scaduti): questo accadeva solo al momento della chiusura del rapporto, non prima. Si creava quindi una sorte di “monte interessi”, che non venivano sommati al capitale da restituire. «Per chi scrive, e non solo, il panorama appariva ormai chiaro e finalmente certo dopo oltre un decennio di giurisprudenza altalenante. Il problema della capitalizzazione degli interessi bancari appariva eliminato», scrive l’avvocato Sganzerla.
Chi entro il primo marzo non paga gli interessi dovuti e conteggiati al 31 dicembre, ha due strade davanti: accettare l’anatocismo oppure vedersi applicati interessi di mora
Poi qualcosa è cambiato, prima a marzo con il ddl che ha convertito il decreto banche. E poi ad agosto, con il dm 343 con il quale il ministro dell’Economia, in qualità di presidente del Cicr, il Comitato interministeriale per il credito e risparmio, ha dato attuazione alla norma. Nel ddl di marzo c’è stata l’introduzione di un emendamento, a firma di Sergio Boccadutri, Pd (ex tesoriere di Sel e in precedenza del Prc). L‘articolo 17-bis si presenta come un addio all’antocismo e prevede almeno due aspetti positivo: gli interessi debitori devono avere la stessa periodicità e comunque non inferiore a un anno. Fine, quindi, del calcolo degli interessi ogni tre mesi. E applicazione anche alle carte revolving, che hanno tassi debitori altissimi, in media del 16,44 per cento. Boccadutri ha rivendicato l’emendamento, sostenendo di aver fatto chiarezza in un campo in cui i tribunali decidevano in modo diverso. E, a dire il vero, ha raccolto il consenso di Altroconsumo. Ma non di altre associazioni come Adusbef e Federconsumatori.
Il motivo è che ci sono dei casi in cui la “capitalizzazione”, cioè l’anatocismo, si può ripresentare: sono le “aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento” e gli “sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido”. In questo caso gli interessi devono essere conteggiati il 31 dicembre di ogni anno e diventano “esigibili” entro il 1° marzo dell’anno successivo. Dov’è la novità negativa, secondo le associazioni dei consumatori? Nel fatto che “esigibile” significa che la banca potrà richiedere il pagamento degli interessi maturati. A quel punto il cliente ha teoricamente possibilità scegliere tra tre strade. La prima, più semplice, è quella di pagare (ma, salvo abusi, se potesse pagare, non si porrebbe neanche il tema). In questo caso, fine del problema: gli interessi si continuano a calcolare sul capitale originale. Se invece non paga, ci sono altre due possibilità. La prima: se il cliente ha autorizzato l’addebito in conto, gli interessi si trasformano in capitale. Ecco il ritorno dell’anatocismo: il capitale di 100 diventa di 102, per tornare all‘esempio iniziale. L’accordo tra cliente e banca può essere stretto anche preventivamente. E in teoria può essere revocabile, anche se secondo i critici è una possibilità solo teorica. «La revoca è possibile solo prima dell’addebito degli interessi nei conti dei debitori. Questo avviene in genere attorno al 15-20 gennaio, per le banche più lente si arriva a fine gennaio. La data del 1° marzo è teorica», commenta Vincenzo Imperatore, consulente di direzione, già manager del settore bancario e autore dei libri “Io so e ho le prove” (2014) e “Io vi accuso” (2015) , entrambi editi da Chiarelettere. «Inoltre è una questione di rapporti di forza: voglio vedere quale consumatore avrà la forza contrattuale per rifiutare una clausola del genere».
La seconda strada è quella che scatta se il cliente non paga e non autorizza l’addebito in conto. A quel punto non c’è anatocismo ma scattano gli interessi di mora. Che sono notoriamente molto alti e non rappresentano certo un’alternativa desiderabile.
Per il consulente di direzione la norma potrà essere ribaltata, come successo in passato. «È necessario stimolare – commenta – l’attività delle associazioni di consumatori perché ribadiscano alla Corte di Cassazione l’illegittimità dell’anatocismo, già sancito con una sentenza nel 2004 e che si ripropone con la norma attuale».