By: gestione
Le banche falliranno sia con il Sì sia con il No
Il rischio non è il referendum, ma l’indice di liquidità Nsfr che peserà sui già disastrati bilanci. In caso di riforma bocciata, occhio alla speculazione. Ma con l’approvazione l’Ue ci imporrà una patrimoniale?
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore su Lettera43
La lobby bancaria ha colpito ancora. A pochi giorni dal referendum di domenica 4 dicembre 2016 ha creato nell’immaginario collettivo la convinzione che sussista una correlazione diretta tra l’eventuale vittoria del ”No” e il loro probabile default. Nulla di più falso. La politica è solo uno strumento nelle loro mani. Il vero rischio per le banche non è il referendum. Oltre a tutti i problemi – sofferenze, falsi in bilancio, scarsa redditività, demotivazione del personale – di cui abbiamo parlato tanto in questa rubrica, sta per abbattersi sul sistema bancario lo tsunami del Nsfr.
FUNDING DISTORTO. Di cosa si tratta? La Commissione europea ha introdotto l’obbligo per le banche di rispettare, oltre al più volte commentato Core Tier 1, un altro indice di liquidità per ridurre i rischi del dissesto. È la Net stable funding ratio, appunto Nsfr, che impatterà negativamente sui già disastrati bilanci delle banche per effetto di una atavica (e consapevole) distorsione nell’utilizzo del funding (finanziamento) e della conseguente trasformazione delle scadenze di cui, finora, non si è mai parlato e che ha inciso, nel mancato rispetto delle leggi di bilancio, positivamente nella creazione di quel po’ di reddito negli ultimi anni.
L’attività bancaria finora ha infatti tratto profitto da investimenti a medio-lungo termine (mutui e prestiti oltre 18 mesi) a fronte di una raccolta a breve termine (entro 18 mesi) che solitamente avviene a un tasso più contenuto! Cosi facendo, negli ultimi anni, le banche non hanno svolto un ruolo positivo per l’economia laddove hanno fatto ‘‘incontrare’’ i risparmiatori, che desideravano detenere (in un clima di incertezza) attività a breve termine, e le imprese che invece hanno finanziato a medio-lungo termine laddove le stesse avevano invece bisogno (e ne facevano richiesta) di affidamenti a breve termine per la gestione del capitale circolante.
FINANZIAMENTI PIÙ COSTOSI. Il Nsfr rischia di impattare pesantemente questo modello in quanto il rapporto punta ad allineare le scadenze e a coprire investimenti a medio-lungo termine con finanziamenti di pari durata che risultano essere più costosi rispetto al funding a breve. Come conseguenza dell’introduzione di tale indicatore, potremmo osservare una ulteriore diminuzione dei prestiti ( già pochissimi) erogati dalle banche, che verrebbero sostituiti con investimenti finanziari più sicuri (titoli di Stato e corporate Bond di elevato standing). Il Nsfr potrebbe dunque portare a una disintermediazione bancaria con la conseguenza che le imprese dovrebbero finanziarsi direttamente sui mercati, o tramite altri canali quali il sistema bancario ombra (shadow banking) e le cartolarizzazioni. Ma di questo abbiamo abbondantemente parlato qui su Lettera43.it.
Ritornando invece per un attimo alle conseguenze del referendum sulla nostra economia (non, ripeto, sul futuro del sistema bancario) mi permetto umilmente di prospettare due scenari: in caso di vittoria del ”No” e in seguito alle probabili (e promesse) dimissioni di tutto il governo Renzi, è ipotizzabile un attacco della finanza speculativa al nostro Paese simile a quello dell’inverno 2011 con conseguenze nefaste per tutta la nostra economia.
UN LOOP SENZA USCITA. Se vince il ”Sì” potrebbe verificarsi che, tenendo presente il nostro debito pubblico (al 135% del Pil) e la probabile sospensione da parte della Banca centrale europea (Bce) del Quantitative easing (Qe) tra 6 o 12 mesi, i tassi riprenderanno il loro corso e, soprattutto perché legati al rischio Paese, tenderanno a salire molto. Di conseguenza avremo nuove costose emissioni di titoli del debito pubblico che serviranno, in un loop senza uscita, a ripagare il debito pregresso e a farne altro. A questo punto ci sorge spontanea una domanda: Nel caso vinca il ”Sì”, inserendo nella nostra Costituzione l’accettazione di norme/imposizioni Ue (senza più un Senato in grado di bloccarla), potrebbe accadere che la riduzione parziale del debito possa venirci imposta attraverso una patrimoniale sui risparmi e sulle proprietà immobiliari o per mezzo di una vendita coercitiva di asset?