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La casta bancaria e lo spreco dei “giullari”
Articolo di Vincenzo Imperatore su Il Roma
Si parla tanto dei nomi dei “grandi” imprenditori di denaro che avrebbero contribuito, non restituendo i soldi, al default delle banche. Ma pochi affrontano invece il problema degli sprechi derivanti dai costi di gestione dei componenti dei consigli di amministrazione, dei collegi sindacali e del top management. Interessante l’inchiesta di Giorgio Meletti su “Il Fatto Quotidiano” che stima in circa 1,3 miliardi di euro il costo, per la sola voce “stipendi”, della casta bancaria (cda e collegi) del nostro Paese. Visti i risultati, sono soldi meritati? La risposta è pleonastica. Per rendere però l’idea dello sperpero dei soldi dei risparmiatori, a questa voce occorrerebbe aggiungere poi anche il costo delle incentivazioni, i cosiddetti bonus per le prestazioni straordinarie (quali?) e il costo di gestione delle “corti”. La “corte” nel Rinascimento era il luogo fisico di residenza del signore, che accoglieva la famiglia in senso stretto e tutto il suo entourage e che perciò costituiva il perno attorno al quale ruotavano e si generavano le relazioni politiche, personali e di servizio, dove si percorrevano brillanti e talvolta repentini itinerari di ascesa e discesa sociale e professionale.
Tra gli sprechi più disgustosi cui ho assistito nella mia “prima vita” c’è sicuramente il costo da sostenere per la corte! Ho visto banche (o importanti divisioni della stessa) la cui direzione era improntata, molto fedelmente, al principio rinascimentale della corte. È vero, i “consiglieri” costavano tanto, ma producevano anche molti utili; erano fideles produttivi, quelli che, facendo riferimento a quanto sopra citato, provvedevano al governo del principato e producevano utili necessari al sostegno delle spese del principato. Ma esisteva anche la categoria dei “fideles improduttivi”, un ristretto gruppo di quadri direttivi e dirigenti (costavano tanto!) che, inseriti in ruoli-fantasma, non avevano la benché minima idea delle tensioni e delle preoccupazioni gestionali e si rifugiavano, ovviamente con l’avallo del principe, in posizioni che non richiedevano particolari competenze professionali e soprattuto che non producevano danni. Servivano ad altro! E come in ogni corte ho quindi visto (e come sempre ho le prove) e vissuto, come in un romanzo umoristico, con una serie di personaggi che avrebbero trovato sicuramente posto nella creatività di un Pirandello o di un Guareschi. C’era il giullare, colui che raccontava barzellette, organizzava scherzi, faceva il buffone di corte per aggregare e agevolare l’inserimento di un neo capo area, ma anche come “anti-stress” del gran signore. Non faceva nulla per giornate intere, ma se alle 20 di sera il gran signore “doveva ridere” lui doveva esibirsi. C’era il dj, un dirigente che serviva solo per aggiustare il microfono in una conferenza, sistemare il proiettore per una riunione, organizzare il karaoke nel corso delle famose sedute di “formazione a delinquere”. Figure senza dignigità ma con lauti rimorsi per le indennità di trasfera percepite come accompagnatore del principe. Poi non poteva mancare il gamekeeper, il guardia caccia, un semplice capo commesso che assecondava la passione per la caccia del gran signore e se per una settimana intera praticamente non lavorava era però costretto durante il fine settimana ad alzarsi alle 5 del mattino per gestire, come nella migliore tradizione dell’Inghilterra Vittoriana, i cani del gran signore durante le battute di caccia. Ben ricompensato anche lui. Perché il figlio del gamekeeper, poco scolarizzato e senza alcun elevato potenziale intellettivo, è stato assunto in banca in danno di altri giovani candidati laureati con lode e con elevatissimi potenziali, ma con genitori che… non amavano la caccia.
Potete non crederci, ma un ruolo fondamentale aveva anche il ruffiano, colui che gestiva l’alcova “non ufficiale” del gran signore ed era il tenutario dei segreti passionali dello stesso. C’è stato un periodo in cui il ruffiano organizzava, insieme con la segretaria del gran signore, l’agenda dello stesso in maniera tale che le trasferte per le visite alle varie filiali del Sud Italia “ufficialmente” riportassero incontri nella Ciociaria oppure nella Trinacria ma, di fatto, alla fine c’era sempre una “fermata non ufficiale nel Salento”. Last but not least, l’influencer, il dirigente con migliaia di colleghi follower che, sebbene non gerarchicamente dipendenti, seguivano pedissequamente le sue indicazioni su argomenti spesso impopolari disposti dal gran signore che, in tale modo, evitava di esporsi. Questa figura era stata ricompensata con la promozione a dirigente senza alcun criterio meritocratico. Chi ha pagato tutto questo?