By: account
Imprenditore costretto al default dalla stretta creditizia
Importante successo di InMind Consulting e dell’avv. Giuseppe Maria Villano nella difesa di un imprenditore costretto al default dalla stretta creditizia.
Vittoria strategica giocata sull’onere della prova giudiziale ed in particolare sull’ esibizione del contratto di mutuo.
In estrema sintesi la mancata produzione negli atti di causa da parte della Banca del contratto notarile di mutuo ( nonostante il fatto che il credito vantato dall’Istituto nei confronti della debitrice venisse certificato dal Dirigente, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 50 del D. Lgsl. 1.9.1993, n. 385, mediante l’estratto conto, attestandosi che “Esso è conforme alle scritture contabili dell’Istituto e che il credito ivi risultante è liquido ed esigibile”) ha comportato la revoca del decreto ingiuntivo di € 303.856,04.Il Giudice, nel suo ragionamento ha premesso che sul punto è fermo e costante nella giurisprudenza di legittimità il seguente principio “l’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 cod. civ., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude, nè inverte il relativo onere, gravando essa pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo. (Cass. 2003/18487).E’ altresì vero, per completezza aggiungiamo noi, che come ritenuto dal Tribunale, Reggio Emilia, sentenza 25/02/2015 n° 280 esiste un consolidato orientamento nomofilattico in tema di prova dell’esistenza di un contratto di mutuo.Attestandosi sulla posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità in numerose pronunce (ex pluribus, Cass. civ. sez. III, 28 settembre 2009, n. 20740, Cass. civ., sez. III, 22 aprile 2010, n. 9541), il provvedimento in esame conferma che l’esistenza di un contratto di mutuo non può essere desunta ( NEANCHE ) dalla mera consegna di una somma di danaro all’accipiens/presunto mutuatario. Difatti, qualora quest’ultimo, pur ammessa la ricezione di una somma di danaro, non confermi, ed anzi contesti, che il titolo posto a fondamento della pretesa restitutoria avanzata dall’attore (asserito mutuante) sia costituito da un contratto di mutuo, grava sull’attore in restituzione l’onere di dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, onere che si estende alla prova del titolo giuridico (mutuo) implicante l’obbligo di restituzione da parte dell’accipiensNelle due recentissime sentenze si torna ad esaminare il tema dell’onere della prova nel contratto di apercredito con scoperto di conto corrente da due angolazioni di vista differenti: nella sentenza del Tribunale di Trieste n. 638 del 4 agosto 2014, Dott. Arturo Picciotto, si analizza l’onere della prova in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, mentre il Tribunale di Lecce, nella sentenza n. 3072 del 30 giugno 2014, esamina l’onere della prova in un giudizio ordinario intentato dal correntista contro una banca.Tribunale, Trieste, sentenza 04/08/2014 n° 638In particolare il Tribunale di Trieste afferma che:“La difesa della convenuta, fin dalla fase della procedura monitoria, ha prodotto solo gli e/c a far data dal gennaio 2004. E’ noto tuttavia (Cass. sentenza n. 21466 del 2013) che accertata la nullità delle clausole che prevedono, relativamente agli interessi dovuti dal correntista, tassi superiori a quelli legali e la capitalizzazione trimestrale impone la rideterminazione del saldo finale mediante la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto sulla base degli e/c a partire dall’apertura del medesimo. In tal caso la banca, quale attore in senso sostanziale nel giudizio di opposizione a d.i., ha l’onere di produrre tali estratti conto, non potendo ritenersi provato il credito in conseguenza della mera circostanza che il correntista non abbia formulato rilievi in ordine alla documentazione prodotta nel procedimento monitorio. Nel caso di specie, a fronte di clausole di capitalizzazione trimestrali per importi notevolmente superiori rispetto a quelli annui a favore del cliente, l’onere probatorio incombeva pienamente sul creditore, che non lo ha assolto. Per questa ragione il credito non può dirsi comprovato, a fronte delle contestazioni attoree, ed il decreto ingiuntivo opposto deve essere revocato.”Il Tribunale di Lecce afferma che il creditore contestato (con un’azione monitoria o ordinaria poco importa) sia sempre tenuto all’onere della prova, a prescindere se formalmente sia attore o convenuto, poiché è sempre sostanzialmente tenuto a provare il suo diritto di credito anche in un giudizio ordinario di accertamento negativo di detto credito:“Eccepisce la Banca convenuta la nullità dell’atto introduttivo del giudizio, in quanto ” parte attrice non ha depositato a corredo del proprio libello introduttivo il contratto di cui lamenta la nullità e/o inefficacia e/o comunque la presunta ed eccepita illegittimità per rinvio ad usi piazza, capitalizzazione composta, cms, giorni valuta, spese etc., limitandosi a depositare una consulenza contabile di parte e relativi estratti trimestrali e riassunti scalari ( pag. 4 comparsa di risposta). L’eccezione non ha pregio giuridico e va pertanto disattesa. E’ indiscusso che l’azione di accertamento del dare-avere promossa dal correntista deve qualificarsi come tipico giudizio di accertamento delle nullità delle clausole del contratto di apercredito stipulato fra le parti, attinenti la determinazione degli interessi ultralegali, il criterio di calcolo dell’interesse anatocistico, l’applicazione della provvigione di massimo scoperto e delle altre somme richieste in restituzione. In ordine all’onere della prova nelle azioni di accertamento negativo, la giurisprudenza con una illuminata sentenza ( Cass. n. 1391/1985) ha esplicitamente affermato che i principi generali sull’onere della prova trovano applicazione indipendentemente dalla circostanza che la causa sia stata instaurata dal debitore con azione di accertamento negativo con la conseguenza che anche in tale situazione la prova deve gravare sempre sul titolare del diritto di cui si chiede l’accertamento ( in tal senso Cass. Sez. IV n. 28516/2008; App. L’Aquila n. 615 del 9.9.2010) Quanto all’art. 2697 c.c., l’affermazione secondo cui la dizione dallo stesso utilizzata ” chi vuol far valere un diritto in giudizio” implica che sia colui che prende l’iniziativa di introdurre il giudizio ad essere gravato dell’onere ” di provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” contrasta, innanzi tutto, con la stessa lettera della disposizione, poiché l’attore in accertamento negativo ( il correntista) non fa valere il diritto oggetto dell’accertamento giudiziale, ma al contrario ne postula l’inesistenza, ed è invece il convenuto ( banca) che virtualmente o concretamente fa valere tale diritto, essendo la parte contro interessata rispetto all’azione di accertamento negativo”. Conclusivamente, in materia di ripartizione dell’onere della prova nell’ambito delle azioni di accertamento negativo del credito bancario, i principi generali sull’onere della prova trovano applicazione indipendentemente dalla circostanza che la causa sia stata instaurata dal correntista-debitore con azione di accertamento negativo, con la conseguenza che anche in tale situazione sono a carico della banca-creditrice, convenuta in accertamento, le conseguenze della mancata dimostrazione degli elementi costitutivi della pretesa ( Cass. 17.7.2008 n. 19762; Cass. 1.12.2008 n. 28516; App. L’Aquila 9.9.2010 n. 615; Trib. Cassino 29.10.2004 n. 1245/04, App. Napoli 15.1.2009 n. 80 e molte altre). Va precisato, contrariamente a quanto affermato dalla banca convenuta, che il limite temporale dell’obbligo di tenuta delle scritture contabili non opera per il contratto relativo all’apertura di c/c bancario in quanto quest’ultimo non costituisce documentazione contabile, bensì, ai sensi dell’art. 117 commi 1 e 3 T.U.B., prova scritta richiesta ad substantiam ed a pena di nullità dell’esistenza del rapporto di c/c bancario e, deve indicare, il tasso di interesse ed ogni altro prezzo o condizioni praticati ( App. Milano 22.5.2012 Pres. Tarantola Est. Carla Romana Raineri). Si vuol dire che, dall’attore, sono stati forniti i supporti documentali quali gli estratti conto e gli scalari, inviati dalla banca durante tutto il rapporto e non contestati, il che implica l’esistenza del contratto di c/c che la banca, pur essendo onerata, non ha ritenuto di produrre” (edita in www.studiotanza.it)Le sentenze sono chiare ed in linea con l’illuminato orientamento che la giurisprudenza di merito e di legittimità ha inteso inaugurare sulla questione (cfr. in questa stessa rivista “Decreto ingiuntivo e rapporto di apercredito: l’onere probatorio della banca – Cassazione civile, sez. VI-1, ordinanza 01.07.2014 n° 14887).Infatti, è indiscusso che l’azione di accertamento del dare – avere promossa dai correntisti deve qualificarsi come tipico giudizio di accertamento: accertamento, nel caso, della nullità delle clausole del contratto di apertura di credito stipulato dalle parti, attinenti la determinazione degli interessi ultralegali, il criterio di calcolo dall’interesse anatocistico, l’applicazione della provvigione di massimo scoperto e delle altre somme richieste in restituzione.Relativamente all’onere della prova nelle azioni di accertamento negativo, una parte della Giurisprudenza sosteneva la tesi secondo cui lo stesso gravava sempre e, comunque, sul soggetto che agisce in giudizio: detto orientamento giurisprudenziale si collega a vetuste opinioni sostenute in sede dottrinale già nella vigenza del codice di procedura civile del 1865, sul presupposto del rilievo preminente svolto in materia di onere della prova dalla posizione processuale delle parti e della esistenza di un onere più ampio, c.d. primario, a carico dell’attore.In senso contrario si è pronunciata, molti anni fa, un’illuminata sentenza (Cass. Civ. n. 1391/1985), sulla base dell’esplicita affermazione che i principi generali sull’onere della prova trovano applicazione indipendentemente dalla circostanza che la causa sia stata instaurata dal debitore, con azione di accertamento negativo, con la conseguenza che anche in tale situazione la prova deve gravare sempre sul titolare del diritto di cui si chiede l’accertamento.Il precedente orientamento aggravava ingiustificatamente la posizione di soggetti indotti o praticamente costretti a promuovere un’azione di accertamento negativo dalle circostanze e specificamente da iniziative stragiudiziali (ad esempio, erronee e dannosissime segnalazioni in Centrale dei rischi di crediti inesistenti) o giudiziali (precetti ed azioni esecutive) della controparte e, inoltre, non era effettivamente giustificato dalla finalità di prevenire azioni di accertamento non aventi oggettiva giustificazione.Quanto all’art. 2697 c.c., l’affermazione secondo cui la dizione, dallo stesso utilizzata, “chi vuoi far valere un diritto in giudizio” implica che sia colui che prende l’iniziativa di introdurre il giudizio ad essere gravato dell’onere di “provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” contrasta innanzitutto con la stessa lettera della disposizione, poiché l’attore in accertamento negativo (il correntista) non fa valere il diritto oggetto dell’accertamento giudiziale ma, al contrario, ne postula l’inesistenza, ed è invece il convenuto (la banca) che virtualmente o concretamente fa valere tale diritto, essendo la parte controinteressata rispetto all’azione di accertamento negativo.Una considerazione complessiva delle regole di distribuzione dell’onere della prova, di cui ai due commi dell’art. 2967 c.c. (che, come osservato in dottrina, può essere considerato specificazione del più generale principio secondo cui l’onere della prova deve gravare sulla parte che invoca le conseguenze per lei favorevoli previste dalla norma), inoltre, conferma che esse sono fondate non già sulla posizione della parte nel processo, ma sul criterio di natura sostanziale relativo al tipo di efficacia, rispetto al diritto oggetto del giudizio e all’interesse delle parti, dei fatti incidenti sul medesimo.Pertanto, in materia di ripartizione dell’onere della prova nell’ambito delle azioni di accertamento negativo del credito bancario i principi generali sull’onere della prova trovano applicazione indipendentemente dalla circostanza che la causa sia stata instaurata dal correntista-debitore con azione di accertamento negativo, con la conseguenza che anche in tale situazione sono a carico della banca-creditrice (convenuta in accertamento) le conseguenze della mancata dimostrazione degli elementi costitutivi della pretesa (conforme Cass. Civ. n. 19762 del 17 luglio 2008, Cass. Civ. n. 28516 del 1° dicembre 2008, nel merito cfr. Appello L’Aquila, Cons. E. Buzzelli, n. 615 del 09 settembre 2010 (edita in www.studiotanza.it); Tribunale di Cassino, G.I. Gonnella, 29 ottobre 2004 n. 1245/04 – Venditti c/ Banca Ciociaria – Massimata in Guida al Diritto del Sole 24 ore n. 49 del 18 dicembre 2004, pag. 70 e ss. (edita in www.studiotanza.it); Corte d’Appello di Napoli, rel. Cons. Maria Teresa Mondo, Sent. N. 80 del 15 gennaio 2009; Tribunale di Matera, Dott. Antonello Vitale, Sentenza n. 448 del 9-11 settembre 2009).Alle medesime conclusioni si perviene anche percorrendo altra strada: le S.U. con la sentenza n. 13533 del 30 ottobre 2001. Come noto, il principio dell’onere della prova di cui all’articolo 2697 c.c., impone che chi agisce in giudizio per far valere una propria pretesa, fornisca la prova dei fatti costitutivi della stessa. Nondimeno, la regola generale dell’art. 2697 c.c. deve essere adeguatamente temperata avendo riguardo al principio della vicinanza alla fonte della prova; principio che le Sezioni Unite, n. 13533 del 2001, hanno elevato a criterio principe nella ripartizione dell’onere stesso.Orbene, quando l’azione esperita sia un’azione di accertamento negativo del debito del correntista, fondata sull’illiceità degli addebiti operati dalla controparte in relazione al rapporto inter partes, elementi costitutivi dell’azione devono considerarsi le dedotte nullità nonché la misura in cui le stesse hanno, eventualmente inciso sulle reciproche ragioni di dare e avere, e, dunque, l’inesistenza in tutto o in parte della pretesa creditoria.Poiché, però – come ribadito dalle Sezioni Unite n. 13533 del 2001, negativa non sunt probanda – la prova che non esista un credito della banca o che lo stesso non abbia una determinata consistenza quantitativa non possono essere poste carico dell’attore; per contro, esponendosi lo stesso all’onere di una prova diabolica. E, quindi – in conformità al principio dell’abituale scissione fra allegazione del fatto e sua prova che costituisce logico corollario dell’applicazione del principio d’inveterata vigenza per cui negativa non sunt probanda – il “debitore” può limitarsi ad allegare l’inesistenza del credito, dovendo per contro la banca convenuta fornire la prova dell’esistenza della pretesa creditoria vantata ed, eventualmente, già azionata nei riguardi del primo. Tale principio, rispondente ad un principio di razionalità logica, ovviamente, è valevole per qualunque ipotesi in cui sia dedotta in giudizio l’esistenza di un credito o di una posizione giuridica attiva, anche di carattere reale, e se ne imponga l’accertamento negativo.
Se volete leggere il dispositivo del giudice —> clicca qui