By: gestione
Il mercato sa fare i conti, vendere favole non paga
Tratto da Lettera 43
È passato un mese dalla finale di Champions League disputata a Milano e, nonostante le ormai rituali dichiarazioni dei vertici di Unicredit, nessuno si è posto alcune domande semplici, nessuno ha approfondito il tema, nessuno ha voluto analizzare un argomento che riguarda l’istituto più ‘europeo’ d’Italia, che sta attraversando il peggiore periodo di crisi dal 1929.
Solo il 30 maggio scorso, l’allora amministratore delegato Federico Ghizzoni (pochi giorni dopo costretto a dimettersi) dichiarava: «La sponsorizzazione alla Champions League ha portato a Unicredit 70-90 milioni di ricavi aggiuntivi».
SEI ANNI DI SPONSORIZZAZIONE. Unicredit, dopo sei stagioni di legame con la Champions, dice di avere generato un rendimento medio sui costi comparabili pari al 255% e conseguito un miglioramento progressivo in termini di ‘appeal del marchio’ e ‘propensione all’acquisto’.
A fine giugno il titolo è sceso sotto quota 2 euro (salvo poi risalire) e il gruppo – prima della nomina di Jean Pierre Mustier, arrivata giovedì 30 – è rimasto a lungo senza una guida.
Forse i mercati e soprattutto gli investitori istituzionali non credono più alle favole. Neanche a questa.
La misurazione del rendimento degli investimenti in sponsorizzazioni è una questione fondamentale per le aziende, ma è un processo molto complesso.
RENDIMENTI OLTRE LE ASPETTATIVE. Unicredit sembra aver avuto molto fortuna come sponsor di Uefa Champions League.
Secondo quanto dichiarato, come visto prima, l’investimento rende almeno il 225% e fa del caso Unicredit il più grande processo di rebranding locale mai attuato in Europa.
Un percorso di sponsorizzazione iniziato nel lontano 2009 e continuamente rinnovato grazie ai rendimenti ben più alti delle aspettative. Nel 2015 è stato nuovamente rinnovato fino al 2018.
La domanda che ci poniamo in questa sede è: il 225% di cosa precisamente? Un dato sconosciuto a tutti a quanto pare.
Da fonti interne sappiamo che l’investimento si aggira sui 50 milioni annui. Siamo quindi di fronte a una somma di 450 milioni di euro complessivi, di cui 350 già spesi. Ma nessun dato ufficiale lo conferma.
POCHI APPROFONDIMENTI. Perché? Perché le uniche informazioni diffuse si riferiscono sempre e unicamente al dopo? Perché pochi, rari approfondimenti al riguardo? Misteri del quinto potere.
Siamo tutti predisposti a sorprenderci e pensare automaticamente alla grandiosità del progetto di fronte a dati del genere.
È una delle conseguenze delle euristiche mentali a cui tutti siamo soggetti. Quindi, se così fosse, e se riducessimo la matematica alle semplici quattro operazioni aritmetiche, quell’investimento di 350 milioni di euro avrebbe reso (350×225%) circa 800 milioni di euro? Ma leggendo il bilancio di Unicredit balza subito agli occhi che i conti 2015 vedono ricavi in calo dello 0,7% a 22,4 miliardi (gli analisti ne prevedevano 22,34): il margine d’interesse scende del 4,2% a 11,9 miliardi, le commissioni salgono del 3,4% a 7,8 miliardi e anche i ricavi da trading sono in crescita del 7,1% a 1,6 miliardi.
IL MERCATO HA STUDIATO L’ARITMETICA. Se ci fermassimo quindi a porci delle domande?
Una pertinente potrebbe essere: «Se siete così bravi a creare valore, perché non avete evitato alla vostra banca una perdita dal 2009 (il titolo valeva mediamente circa 12 euro) di oltre l’80% del suo stesso valore?».
Forse il mercato ha studiato bene l’aritmetica.