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Come difendersi dall’usura bancaria
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore. Tratto da “Money Farm”
Il diavolo è nei dettagli, si dice. E uno dei “dettagli” diabolici usati dalle banche si chiama violenza psicologica. Quella utilizzata nei confronti del piccolo imprenditore che ha ricevuto (o ha richiesto) un fido (prestito) per la gestione della sua azienda. In Italia esistono circa 5 milioni di piccole imprese dietro le quali ci sono altrettante famiglie. Più di un terzo della popolazione del nostro Paese ruota intorno all’economia generata da queste aziende. Come nella più scellerata tradizione degli scandali finanziari, le banche hanno prima sfruttato i piccoli imprenditori per far lievitare i propri rendiconti, poi, quando non servivano più, li hanno sacrificati sull’altare del profitto. Ogni tanto qualche politico in cerca di consensi si appella «al motore economico dell’Italia» per raccogliere voti, ma neanche lui sa che i numeri sono così importanti. Strozzare le piccole imprese significa uccidere l’Italia. Constatare che vi sono 4 milioni e 750 mila piccole imprese contro 250 mila medie e grandi equivale a dire che per ogni Agnelli o Pirelli abbiamo 19 «signor Rossi». Certo, nell’immaginario collettivo il singolo tycoon ha più fascino, carisma, leadership, forza, potere. Ma analizzando bene la realtà si comprende che non è così. Di questi piccoli grandi capitani sconosciuti, purtroppo, si parla solo quando avviene una tragedia, quando qualcuno si toglie la vita a causa dei debiti oppure quando la rabbia per la tassazione che riserva loro lo Stato supera il limite di sopportazione. Per il resto regna il silenzio. Il privilegio di sedere ai tavoli «giusti», come spesso capita ai grandi, non li riguarda. La possibilità di «aggiustare» le cose grazie al contributo della politica amica dei potenti non è contemplata. I «signor Rossi» sono costretti solo a subire. Oggi la situazione economica è profondamente diversa rispetto al periodo in cui la piccola e media impresa rappresentava il motore della crescita nazionale. Così, per preservare il sistema e non saltare in aria a causa dei loro bilanci alterati e distrutti dalle previsioni di perdite sui crediti “difficili da riscuotere” (Npl), gli istituti hanno modificato la strategia: da offensiva a difensiva. Una volta messa in atto la stretta del credito, che sta uccidendo la stragrande maggioranza delle aziende, le banche stanno tentando di recuperare il più possibile di quanto prestato agli imprenditori. Pur essendo consapevoli che probabilmente, invece che incassare, dovrebbero restituire.
Cosa fare se la banca supera il tasso soglia previsto dalla legge.
Abbiamo parlato più volte delle tecniche utilizzate dagli istituti per “recuperare” con l’inganno ciò che il piccolo imprenditore non possiede, sottolineando come la consulenza per difendersi dagli abusi sia inesperta e poco preparata al riguardo, quando non connivente. Ebbene, in tutte le comunità una figura odiata e temuta, ma sempre esistita, è quella dell’usuraio. Tutti lo giudicano, lo additano perché anche se fa vita ritirata si sa che faccia ha. Dire che anche le banche fanno usura, invece, suscita reazioni controverse se non ostili: ma come, le banche sono sporche, brutte e cattive? Ma no, le banche non sono sporche, brutte e cattive però talvolta fanno usura. E vengono condannate per questo. Grazie a un tasso di qua, a una commissione di là, a un servizio piazzato al momento giusto, a un interesse aumentato unilateralmente, spesso e volentieri “mamma banca” supera il cosiddetto “tasso soglia” per poi provare a rimediare – quando va bene – promettendo di rettificare l’errore “di natura tecnica” e di liquidare le competenze in maniera corretta. Premesso che il piccolo imprenditore in questione aspetta ancora quella sistemazione, ma ci rendiamo conto della gravità della situazione? La tendenza a conciliare, da parte dell’istituto, equivale a una confessione. Sembra paradossale, ma è come se al ladro che ha ammesso di aver rubato si concedesse solo la possibilità di restituire la refurtiva, senza alcuna pena. E cosa fa l’imprenditore consigliato male? Si accontenta di quei pochi spicci senza andare a fondo e studiare una strategia difensiva per far pagare la pena alla banca. E qui, oltre alla restituzione di quanto non dovuto (che di solito si recupera attraverso una azione di accertamento negativo del debito di natura civilistica), si configura il reato penale di usura che, quando colpisce l’imprenditore, prevede la reclusione fino a 10 anni di carcere. E allora è il caso di negoziare con la banca qualcosa di diverso e più corposo rispetto a ciò che emerge dalla semplice operazione aritmetica di sottrazione? Assolutamente si. I mezzi a tutela dei nostri interessi esistono ed è arrivato il momento di usarli.