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Basta con il “saper essere”… passiamo alle competenze!
Articolo di Vincenzo Imperatore su Il Roma
Nel nostro paese non solo l’ascensore sociale si è inceppato. Anche quello professionale si e’ arenato. Le conseguenze, se guardiamo alle condizioni attuali in cui versa l’Italia, il suo sistema bancario e ai suoi principali indicatori macroeconomici, sono molto serie. E dovrebbero indurci a riflettere. Potrebbe essere un problema di taratura delle competenze necessarie per poter sostenere il cambiamento?
Come ben sappiamo, le dimensioni della professionalita’ di un manager sono strutturate su 3 livelli :
– il SAPERE, cioe’ la dimensione della conoscenza tecnica costruita negli anni in base alla formazione accademica e soprattutto per effetto dei corsi di specializzazione aziendali;
– il SAPER FARE, in altri termini cio’ che identifichiamo sinteticamente come “esperienza” e che permette al manager di tradurre i concetti teorici studiati in atti operativi;
– il SAPER ESSERE; tutto cio’ che attiene all’area comportamentale e relazionale del manager.
Negli ultimi 20 anni la formazione in banca si e’ focalizzata essenzialmente sullo sviluppo della dimensione del SAPER ESSERE. C’e’ stato un abuso dei percorsi formativi basati su PNL (Programmazione Neuro Linguistica), Leadership for Results, Intelligenza Emotiva, ecc, che hanno saputo produrre sicuramente degli ottimi venditori e dei discreti “capi” ma nel contempo hanno depauperato il patrimonio tecnico e professionale che possedeva il bancario della generazione precedente. Una tragedia sotto gli occhi di tutti. Non l’unica causa ma una delle tante piu volte analizzate su questa rubrica. Soprattutto perche’ in banca si vende un “prodotto complesso” che necessita di una preparazione e di una competenza che non puo’ basarsi solo o esclusivamente sulla capacita’ di comunicare. Se sono un consulente finanziario e non ho competenze di analisi creditizia, se non so “leggere” una Centrale Rischi posso solo “improvvisare” una chiacchierata con un imprenditore che tento di acquisire come cliente ma non riuscirò mai ad essere convincente per farmi canalizzare i suoi risparmi personali. Un esempio classico di queste dinamiche si riscontra, ad esempio, nel mondo dei promotori finanziari che hanno, tranne una percentuale bassissima di professionisti, un gap formativo profondo nella cultura di impresa. Ne e’ una conferma il fatto che l’esame per l’iscrizione all’albo, cosi come il catalogo formativo proposto dalle associazioni di categoria per l’acquisizione dei “crediti formativi”, non prevedono percorsi di addestramento sulla analisi creditizia.
Purtroppo, in Italia sappiamo come funzionano certe cose. Si preferisce appiattire tutto verso il basso. I bravi e i competenti vanno allontanati, marginalizzati, esclusi, perché alterano, «sovvertono» il sistema. Che ha le sue regole inamovibili. Un simile atteggiamento, purtroppo assai diffuso sul piano culturale, sociale ed economico, non è però a somma zero. Anzi.