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Anche un eccesso di trasparenza può fare danni.
Pubblicare i nomi dei creditori delle banche finiti in “sofferenza”? Rischia di affossare una impresa in difficoltà che potrebbe ancora risollevarsi. Serve equilibrio, per limitarsi ai casi in cui c’è il sospetto di frode.
Articolo a cura di Vincenzo Imperatore su Lettera43
La finanza è per prassi e tradizione riservata, dato che gestisce risorse di persone e istituzioni che per tanti motivi (concorrenza, lobbismo, sicurezza) richiedono una tutela della loro privacy o dei loro affari. Purtroppo, però, la finanza non è solo riservata, ma, come ripetiamo ormai da anni, troppo spesso opaca. Non è un mistero che, nonostante sia quasi totalmente governata da transazioni elettroniche, la tracciabilità delle operazioni finanziarie è ancora difficile, ostacolata, artificialmente resa impossibile da paradisi fiscali, prodotti strutturati e oltremodo complessi costruiti dallo stesso sistema bancario. Consideriamo, a tal proposito, due casi di banche che sono esattamente agli antipodi e che ci dimostrano perché abbiamo bisogno di più trasparenza in finanza.
DUE CASI AGLI ANTIPODI. Nella vicenda di Mps due derivati ben nascosti e dai nomi esotici (Santorini e Alexandria) hanno giocato un ruolo fondamentale nel maquillage dei conti. Qualcuno ci ha guadagnato? Sicuramente e non poco, ma non pare che qualcuno abbia pagato o pagherà. Banca Popolare Etica invece, sin dalla sua nascita 18 anni fa, pubblica tutti i finanziamenti che eroga alle persone giuridiche: basta andare sul sito web e si trovano ragioni sociali, importi, tipologia e scopo del prestito. Sono stati i primi al mondo a farlo e sono ancora gli unici in Italia. Nella convinzione che la trasparenza sostanziale, troppo spesso diversa da quella normativa e formale, sia il primo requisito per poter essere valutati nel proprio operato dagli stakeholder.
IL NODO SOFFERENZE. Non pretendiamo che tutte le banche debbano farlo, però siamo convinti che se indicassero, anche in modo aggregato, dove investono i soldi che sono loro affidati, si innescherebbero processi virtuosi. Ma qualcuno se ne è accorto? Qualcuno ne ha parlato? Altrettanto vero è che la richiesta di trasparenza non deve però superare determinati limiti. Negli ultimi tempi, per esempio, è stato spesso richiesto da media e (alcune) forze politiche la pubblicazione dei nomi dei creditori delle banche finiti in “sofferenza”. Interrogativo posto dopo il salvataggio (con denaro pubblico) del Monte dei Paschi di Siena dal disastro in cui la banca più antica del mondo si è cacciata per tanti motivi, tra cui anche la mole impressionante di crediti di pessima qualità che evidentemente ha erogato.
In molti credono che, se lo Stato e i cittadini devono pagare per il salvataggio di Mps, si deve rendere noto per chi e cosa si sta pagando, incluse le realtà che hanno preso soldi in prestito dall’istituto e non li hanno restituiti. Il sospetto (ragionevole) è che qualcuno ci abbia guadagnato mentre noi (i cittadini) paghiamo. Però neanche Banca Popolare Etica pubblica l’elenco del credito erogato che è in sofferenza. Tale credito è visibile alla vigilanza e al sistema bancario, ma non è pubblico. Pur avendo tassi di sofferenza 3-4 volte inferiori al resto del sistema, in Banca Etica hanno capito anni fa che pubblicare le singole sofferenze aveva controindicazioni importanti. Si rischia di affossare ancora di più una impresa in difficoltà che potrebbe ancora risollevarsi. Si rischia una gogna, anche mediatica, che può essere eccessiva rispetto alle responsabilità del fallimento di un progetto. Si mette in atto un arma potenzialmente ricattatoria alle banche che può essere usata in modo scorretto.
SE LA CAPACITÀ GESTIONALE VIENE MENO. Chi eroga credito dovrebbe avere la professionalità e la responsabilità per prendere il rischio imprenditoriale che ne consegue e gestirlo in modo che il bilancio complessivo della banca e il suo capitale sociale possano sostenerlo. In Mps e in altri casi in Italia è questa capacità di gestione che è mancata. Se si possono fare derivati farlocchi, se si possono aprire filiali in paradisi fiscali, se si possono fare prodotti finanziari complessi per scommettere contro gli stessi prodotti delle banche o contro interi Paesi, se si possono incentivare i dipendenti a vendere i prodotti peggiori ai propri clienti, allora anche concedere credito in cambio di favori può sembrare una prassi gestibile nel calderone generale della finanza creativa. Non è bello, non è utile ed è molto pericoloso. La trasparenza sui crediti in sofferenza serve quindi solo nel momento in cui pare che chi froda possa farla franca.
LA FUNZIONE SOCIALE DEL RISPARMIO. Servirebbe molto di più definire e punire più severamente il falso in bilancio e la false comunicazioni sociali. Servirebbe punire chi adotta comportamenti bancari scorretti in malafede. La trasparenza su dove vadano a finire, come abbiamo visto, i soldi dei risparmiatori in generale servirebbe di più: potrebbe innescare meccanismi virtuosi e farci riscoprire quella “funzione sociale del risparmio” che è implicitamente definita nella nostra Costituzione (articolo 41). Anche il parlamento se ne è accorto e, negli stessi giorni in cui decideva l’intervento dello Stato per salvare Mps, ha introdotto nel testo unico bancario (articolo 111 bis) un innovativo riconoscimento per gli operatori bancari di finanza etica e sostenibile, dove – guarda un po’ – tra i requisiti previsti c’è proprio la piena disclosure sui beneficiari dei singoli finanziamenti erogati.
UN ECCESSO DI PUDORE. Il tutto, però, con un eccesso di pudore: mentre per la ex banca di Giuseppe Mussari sono stati stanziati 20 miliardi di euro, per la promozione della finanza etica così virtuosamente definita sono previste poche decine di migliaia di euro all’anno. Un incentivo al rovescio. Di strada da fare ce n’è parecchia: occorre trasparenza, ma soprattutto il coraggio di cambiamenti radicali in finanza