By: gestione
Sacerdoti-trader, per le banche il silenzio è d’oro
Tratto da Lettera 43
Il bonifico della curia è puntuale come ogni mese: «Novecentoventidue euro e cinque centesimi per conto dell’istituto per il sostentamento del clero».
Sulle entrate del sacerdote finito al centro della trasmissione di RaiTre Pane quotidiano, a marzo 2015 compare anche un’altra voce per «la celebrazione di messe» di ulteriori «111,55 euro».
ALTRO CHE CHIESA POVERA. Insomma, leggendo la colonna di destra dell’estratto il messaggio francescano di papa Bergoglio di «una Chiesa povera per i poveri» sembra essere fedele.
Qualche perplessità sorge scorgendo l’altra colonna, quella di sinistra, quella delle uscite che non corrisponderebbero a una vita parca di sacrestia.
Nell’arco di 30 giorni, infatti, c’è una bella uscita di «50 mila euro per sottoscrizione di titoli e fondi comuni» a cui se ne aggiunge un’altra di «20 mila euro per acquisto titoli».
Non solo. Qualche giorno prima dell’accredito dello stipendio entrano prima «50.683,98 euro per vendita di titoli» e dopo altri «29.967,03» sempre per «vendita di titoli».
BONIFICI SU CONTI ESTERI. Una vita finanziaria intensa, quella del sacerdote, che può permettersi anche un bonifico su conto estero, probabilmente in seno allo Ior, di «963,66 euro di regalo di compleanno per un amico». Il tutto, sempre con i suoi poco più di 900 euro di stipendio.
La prima cosa che salta agli occhi è la ricchezza che anche il singolo prete di periferia (non è un caso isolato, ho le prove) possiede. Da dove provengono quei soldi? Forse esiste un “commercio” delle donazioni dei fedeli, che non transitano sui conti delle diocesi e delle parrocchie (che ricordiamo hanno una partita Iva) e invece finiscono “miracolosamente” sui conti personali dei singoli esponenti del clero?
O forse su quei conti correnti “personali” transita l’evasione fiscale delle (talvolta) potenti e ricche famiglie degli stessi, in maniera tale da sfuggire ai controlli?
PRATICHE SOSPETTE. Ciò che vi ho raccontato è una pratica “sospetta” che per diversi rappresentanti del clero si ripete tutti i mesi. Ma quante operazioni simili vengono segnalate ai fini della legge antiriciclaggio? Praticamente nessuna, per la banca sarebbe un autogol, una “remissione” di denaro.
La mancata trasmissione agli organi preposti di operazioni dubbie riconducibili al mondo ecclesiastico ha radici profonde.
Anni fa, quando ero capo area della provincia di Napoli, alla nostra banca, a seguito della fusione con un altro istituto di credito da sempre vicino al Vaticano, venne imposto che la gestione dei patrimoni delle arcidiocesi e dei principali esponenti del clero campano fosse affidata a un nominativo indicato dalla stessa curia partenopea. Insomma, si erano scelti il referente interno, il proprio personal banker.
Quei conti corrente a sei cifre non giustificabili con l’8 per mille
Se ci fossimo rifiutati, dicevano dall’alto, «avremmo perso clienti d’oro, le relative masse amministrate» e di conseguenza «avremmo rinunciato a benefit e premi».
C’era un solo dipendente (tra l’altro diacono) che era ‘intimo’ degli alti esponenti della curia e poteva interfacciarsi con il vescovo e io ero il suo capo: un vero paradosso perché rispetto a lui, in questo ambito, contavo poco o nulla.
Ho visto conti corrente dell’arcidiocesi a sei cifre non giustificabili con le donazioni dell’8 per mille.
SACERDOTI O TRADER FINANZIARI? Ho visto bonifici di 300 mila euro eseguiti su conti di preti di provincia, che puntualmente non segnalavamo agli organi competenti all’antiriciclaggio.
Alcuni di loro andavano e venivano in banca anche due, tre volte al giorno. Ho visto certi sacerdoti che facevano vero e proprio trading finanziario: entrate di grosse somme, sottoscrizioni di titoli e fondi, vendite che fruttavano altri soldi.
E lo stesso succede ancora oggi.
Se un’operazione simile la facesse il titolare di un’autofficina, ad esempio, dopo tre ore avrebbe gli elicotteri sopra casa con i mitragliatori puntati. In questo caso, invece, nessun controllo: alle banche conviene tacere e incassare.
LA NOTA DOLENTE DELL’ANTIRICICLAGGIO. L’antiriciclaggio, è inutile negarlo, rappresenta una nota dolente per gli istituti di credito.
La legge in materia è stata promulgata per limitare la circolazione di contanti provenienti da attività illecite. In primis si pensava a quelle riconducibili alle organizzazioni di stampo mafioso ma dopo il concetto di «illecito» si è allargato e ha compreso anche l’evasione fiscale.
Adesso, dunque, c’è l’obbligo da parte delle banche di effettuare segnalazioni all’Ufficio Italiano Finanziario (Uif), organismo della guardia di finanza, per tutte le operazioni sospette.
Per fare chiarezza è meglio spiegare in parole semplicissime cosa significhi «operazione sospetta».
LE SEGNALAZIONI? SOLO SE CONVIENE. Mettiamo che io abbia una pizzeria e secondo gli studi di settore debba incassare una media di 500 euro al giorno. Mettiamo anche che io quei soldi li depositi quotidianamente sul mio conto corrente.
La volta che dovessi fare un versamento di 3 mila euro, l’operatore dovrebbe subito insospettirsi. Questi è tenuto, infatti, a chiedermi da dove provenga quel denaro e se io gli rispondessi, ricevute alla mano, che la sera prima ho organizzato una festa con tantissimi coperti, potrebbe anche darsi che la cosa si risolva subito, ma se la scusa dovesse risultare poco convincente il funzionario avrebbe tutto il diritto di far partire la segnalazione, anzi, ne avrebbe l’obbligo altrimenti potrebbe incappare in sanzioni penali.
Il problema di fondo – lo si deduce dalle storie appena raccontate – è che le banche hanno tutto il vantaggio di segnalare per lo più i clienti meno “vantaggiosi”, quelli con meno giro di denaro: in sostanza la stragrande maggioranza delle persone e delle famiglie e non chi realmente stia commettendo un illecito.