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IL PENTIMENTO DEL MANAGER: STORIA DI VINCENZO IMPERATORE
Il Venerdì di Repubblica
Lavorava per uno dei maggiori istituti italiani: Poi ha detto basta. Ora Vincenzo Imperatore svela le tecniche che danneggiano i correntisti, e dà loro un consiglio:
“Non abbiate paura di denunciare”.
Roma. A 28 anni è entrato in banca come impiegato. A 40 anni era un manager venerato. Una macchina acchiappa-contratti. Al punto che il boss del suo istituto, uno dei principali gruppi bancari del Paese, lo volle con sé sul palco di una convention in Puglia, alzandogli il braccio per l’invidia di migliaia di colleghi: come un pugile che ha vinto per ko. Poi la crisi ha cambiato tutto, anche il cuore di Vincenzo Imperatore, che ora, a 51 anni, dà alle stampe un libro- denuncia dal titolo pasoliniano: Io so e ho le prove. Sottotitolo: Così le banche imbrogliano il correntista. In libreria dal 17 ottobre, edito da Chiarelettere.
La sua cos’è stata? Una crisi morale?
«A un certo punto non mi sono più sentito me stesso. Non riuscivo a guardare negli occhi i miei clienti. Gli avevamo rifilato spazzatura per anni, e ora, per effetto della crisi, gli chiudevamo i rubinetti del credito. Fu brutale. Ero partito da un quartiere popolare di Napoli e avevo soggiornato nei migliori alberghi d’Europa, l’azienda era diventata la mia seconda mamma, ma dissi basta. Mi sono licenziato».
Ma cosa intende per spazzatura?
«Pensi solo a tutti i derivati che abbiamo messo in circolo. Ormai le banche non si limitano, se sei fortunato, a concederti un prestito, ti accollano anche la stipula di polizze assicurative, o l’acquisto di diamanti, biciclette, tapis roulant, televisori. Televisori! Chiedi un mutuo di 10 mila euro, e loro, con l’ipocrita formula il direttore preferisce, ti obbligano a comprare un oggetto inutile, dal quale ricavano guadagni ingentissimi».
L’alternativa qual è?
«Non ottenere il mutuo. L’altra furbizia ricorrente è quella di comunicarti solo alla fine del trimestre l’aumento del tasso d’interesse: la cosiddetta manovra massa. Scatta il 1° gennaio e tu lo vieni a sapere per posta ordinaria a metà aprile, se hai la bontà di leggere l’estratto conto. Solo che le banche confidano sul fatto che il 97 per cento degli italiani l’estratto non lo esamina affatto. Ed è in quei codicilli che si celano le peggiore nefandezze. Del resto sono scritti in maniera tale che se non hai dieci diottrie non li cogli nemmeno».
Lei sostiene che non bisogna avere paura di denunciare.
«Le banche temono il danno reputazionale. E cercano di evitare con ogni mezzo proteste e denunce alla magistratura. Il vento è cambiato. Vent’anni fa nessun giudice dava torto a una banca: oggi sì».
Ma denunciare costa. Che consigli dà?
«Conservare tutte le carte, precostituire uno studio dei contratti stipulati, affidandosi a un buon professionista. Ne vale la pena».
Perché sostiene che le banche sono gli usurai più diffusi?
«Sui tavoli delle Procure ci sono ormai più denunce per interessi illegittimi contro le banche che nei confronti dei privati cittadini».
Quando scatta il reato di usura per una banca?
«Quando il prezzo del denaro praticato supera un tasso soglia stabilito trimestralmente dalla Banca d’Italia».
Lei rinfaccia al mondo del credito di avere cambiato registro dopo la crisi dei mutui subprime. Ma non era l¿unico modo per salvarsi?
«Sì, ma bisognava cambiare il management. Fare come in America, dove il governatore della Fed pretese che tutti i ceo delle banche coinvolte nel fallimento di Lehman Brothers fossero immediatamente rimossi».
In Italia sono invece al loro posto?
«Tutti. La rivoluzione promessa da Renzi qui non si è vista».
Pensa che il suo libro sarà accolto dal mondo bancario con il silenzio o con proteste?
«Con il silenzio. Ma non temo nulla. Ho conservato carte, email, circolari, brochure. Ho le prove su tutto quel che ho raccontato. L’editore mi sostiene. Non ho paura».
Perché non ha avuto citato l’azienda per la quale ha lavorato?
«Ho preferito non farlo. Posso solo dire che è una delle maggiori nel Paese».
Quanto guadagnava da manager?
«La paga base era di 3.600 euro, poi c’erano i benefit, gli incentivi, i viaggi gratis, le giornate nelle migliori Spa, regali incredibili, tipo collier Damiani per le mogli. A un certo punto le cose andavano così bene che di soli premi guadagnavo 30 mila euro all’anno. Ormai impostavo il mio stile di vita sulla base di questi super-bonus».
Possiamo dire che era un top manager?
«Ero direttore di area, il gradino immediatamente inferiore».
Ha fatto parte di questo sistema per molti anni?
«Sì e direi con piena consapevolezza. Questo libro non pareggerà certo i conti. Convocavo i miei collaboratori alle 7 del mattino e li aizzavo come pretoriani. Dal 1994, dopo le privatizzazioni, al 2008, fu il Far West. Nelle banche non si entrava più per raccomandazioni, ma per merito, e quindi fu più facile plasmare una generazione nuova di dirigenti per i quali contava solo fare soldi, sempre più soldi. Consideri che a un certo punto il mercato delle polizze assicurative era così saturo che noi obbligammo i clienti a rottamarle, caricando quelle nuove di altri costi. Il cliente ti diceva sempre sì. Allo stesso malcapitato – quasi sempre un piccolo imprenditore – abbiamo poi sbattuto la porta in faccia, scaraventandolo in mezzo a una strada. Via! Fuori!».
Quanto grandi erano i profitti?
«Enormi. Alla vigilia della crisi il Roe, la redditività dell’azionista di un istituto di credito schizzò al 19 per cento. Per ogni euro investito l’azionista ne guadagnava 19. Oggi il Roe dei tre gruppi maggiori segna meno 15».
Perché lei sostiene che i privilegi dei top manager vengono pagati dai clienti?
«Un giorno mi chiama un top manager con la psicosi del furto in casa: “Imperatore, ma noi non abbiamo un amico alla Telecom che possa piazzare la videocamera che usiamo per le teleconferenze fissa sul balcone di casa mia, e farla sorvegliare dal nostro messo 24 ore su 24? Sa, non vorrei lasciarla incustodita per il mese di agosto”. Era una richiesta assurda, ma naturalmente gli dissi di sì. Convocammo due uscieri e li costringemmo di guardia davanti all’abitazione, giorno e notte. I ladri per fortuna si tennero alla larga».
Lei cosa fa adesso?
«Consulenze per le aziende. Li assisto a difendersi dalle banche».