By: gestione
Il male più diffuso? L’amoralità delle banche
Tratto da “Lettera 43”
Se vogliamo comprendere il “lato oscuro” delle vicende che stanno vivendo le banche (non solo italiane) in questi ultimi anni e capire come gli istituti di credito siano generalmente (quindi il fenomeno è diffuso) governati da top manager e dipendenti che operano con una piena consapevolezza di un modo “particolare e atipico” di interpretazione delle leggi e della moralità e utilizzano un linguaggio zeppo di doppi sensi, è utile leggere un articolo scritto da Joris Luyendijk, autore del libro Swimming with Sharks: my Journey into the Alarming World of Bankers del 2015 e riproposto da linkerblog.biz a firma di Fabio Bolognini.
«Quando ho intervistato 200 banchieri e i loro collaboratori che lavoravano nel centro finanziario d’Europa, la City di Londra, forse la cosa in assoluto più rivelatrice era il loro linguaggio. Non tanto le volgarità – anche se ce n’erano molte – né i tecnicismi e gli acronimi da tre lettere.
La cosa che più colpiva erano i termini che sembravano costruiti per mettere da parte qualsiasi possibilità di una discussione etica.
Quando parlavano dell’uso da parte delle banche di come aggirare le leggi fiscali per aiutare le grandi imprese e le persone fisiche ricche a evadere le tasse i banchieri usavano termini come “tax-optimisation” o “tax-efficient structure”.
I legali della finanza e le autorità di vigilanza che fiancheggiavano tutto quanto proposto dalle banche erano ‘amici del business’; i casi dimostrati di frode o abuso diventavano errori di vendita e approfittarsi delle incoerenze tra i sistemi di regolazione di due Paesi era ‘un arbitraggio tra regole’.
Se lavori per una grande banca nella City, mi spiegavano, non ti domandi se una proposta è giusta o sbagliata. Guardi se ti fa fare profitti e se è in regola con la legge.
Il linguaggio della banca è inteso a superare gli ostacoli dell’ufficio legale, della compliance, del risk management, dei revisori interni ed esterni e delle autorità di vigilanza. Una volta che si mette un segno a queste caselle e sono considerate assolte non c’è più nulla che ti possa fermare.
E così il cliché del banchiere cattivo e immorale non tiene più. Le banche hanno immense strutture con decine di migliaia di di persone nei controlli interni, come l’ispettorato e la compliance.
A parte le inevitabili mele marce e quelli beccati negli scandali sul Libor e sui cambi, la maggior parte dei banchieri sembra ansiosa di non varcare le regole.
Invece la domanda che si pongono sempre è: come è possibile all’interno di quelle regole fregare il sistema? Prima del 2008 i banchieri coinvolti nei prodotti tossici che alla fine sono esplosi non si domandavano se questi prodotti erano buoni per i clienti, o per l’economia, o persino per le loro banche che avrebbero potuto licenziarli in un lampo.
Invece i banchieri si domandavano se ciò che stavano facendo era legale e, se lo era, non c’era ulteriore discussione. Per i banchieri la parola chiave è ‘amoralità’. Per loro è fondamentalmente diverso da ‘immoralità’.
Gordon Gekko nel film icona Wall Street rompe deliberatamente le regole, mentre in Wolf of Wall Street Jordan Belfort sfida la legge continuamente. Gekko e Belfort sono immorali.
Per una decisione amorale, tuttavia, concetti come buono o malvagio semplicemente non entrano nel processo di valutazione.
La domanda è se qualcosa è proibito o permesso e, se lo è, il solo problema rimasto riguarda il rischio di reputazione e come potrebbe uscire sui giornali.‘Compartmentalisation’ [dissociazione] è un’altra parola che i banchieri usano: essere bravi e decenti cittadini a casa è okay, ma al lavoro vendere prodotti molto profittevoli a “qualche tizio in una piccola banca svedese’ che chiaramente non è in grado di sapere cosa sta comprando non è un problema.
Il più grande complimento che si può avere nella City è quello di definire qualcuno ‘professional’. Significa che non ti lasci influenzare dalle emozioni, per non parlare dei valori morali che sono lasciati totalmente a casa.
La parola ‘etica’ arriva solo in combinazione con ‘lavoro’, con riferimento all’assoluta obbedienza al proprio capo.
Questa è la mentalità creata da un’ideologia basata su ‘shareholder’ value’; agli impiegati di società quotate insegnano e inculcano il credo che hanno uno e un solo compito: fare più soldi possibile per i loro azionisti – entro le leggi.
Eppure ho insistito con gli intervistati sui più profondi dilemmi morali, sul fatto di nascondersi dietro leggi che i loro stessi lobbisti hanno contribuito a scrivere.
Quello è il punto per cui le leggi esistono: dopotutto le leggi devono sempre rincorrere la tecnologia, così inizialmente non ci sono regole per i nuovi prodotti finanziari, un fatto che aiuta a comprendere le variazioni deliberatamente complesse e opache dei Cdo che hanno quasi schiantato l’economia mondiale nel 2008.
Alla fine di tutto le promesse solenni di un cambiamento culturale da parte dei banchieri a seguito del fallimento di Lehman Brothers sono difficili da prendere seriamente. Le banche sono ancora quotate e quindi condizionate dalla mentalità amorale. La crisi può avere causato una diffusa richiesta da parte dei cittadini per un nuovo inizio, ma la maggior parte delle mie interviste confermano che nelle loro banche siamo al punto di prima, business as usual».
Se mai fossi stato colto da dubbi in merito a ciò che ho denunciato con i miei libri (Io so e ho le prove e Io vi accuso), dopo aver letto questo articolo posso con convinzione urlare «io avevo ragione». E il peggio deve ancora venire.