By: gestione
Il commercialista tuttologo e le conseguenze per le imprese
Tratto da MoneyFarm
Ripeto spesso che probabilmente la responsabilità della crisi della piccola imprenditoria del nostro Paese non è solo delle banche le quali hanno la grandissima capacità di insinuarsi nelle falle del sistema per trarne il massimo dei profitti, come i più biechi avvoltoi si buttano sul moribondo per finirlo definitivamente.
Un falla di questo sistema è rappresentata dalla qualità della consulenza professionale “standard”, molto capace finora di organizzare dei bellissimi funerali, ma non in grado di curare il malato, anche se terminale o, peggio ancora, poco attenta al paziente sano che potrebbe contrarre qualche virus.
E in Italia quando si parla del consulente di una piccola impresa l’identificazione è immediata: il commercialista se non addirittura il ragioniere-commercialista.
Colui che negli ultimi 30 anni è stato interpellato dal piccolo imprenditore essenzialmente per evadere il fisco (il migliore è colui che fa pagare meno tasse, si sente dire spesso) e per far quadrare la “partita doppia”.
Ancora oggi nell’immaginario di tanti piccoli imprenditori il commercialista è il classico “ragioniere”, impegnato da mattina a sera a inserire fatture nel software. E fin qui, benché riduttivo, siamo nell’ambito delle competenze specifiche di questo professionista che dovrebbe limitarsi a fornire la sua consulenza in ambito contabile e fiscale.
Ma ciò che preoccupa è soprattutto il fatto che per molti, ancora oggi, è colui che risolve tutti i problemi che sorgono in un’azienda, come una sorta di Superman. Per altri ancora è il confessore, in grado di far uscire dallo studio il cliente sollevato grazie alla sua “benedizione”.
Un commercialista che chiama solo per annunciare la mazzata di tasse che sta per arrivare si è mosso in ritardo. Il suo compito è anche quello di guidare il cliente e metterlo in guardia al momento giusto. Ci sono casi in cui conviene addirittura fermarsi e non lavorare pur di non vedere tutto sfumare in tasse. Il commercialista da scegliere è una persona capace di tenere sotto controllo i conti del cliente e avvisare quando, per esempio, è il caso di fargli rimandare l’emissione di una fattura.
Un commercialista che mette a disposizione del cliente i dati di bilancio sempre con notevole ritardo (per cui spesso al settembre dell’anno in corso l’imprenditore ancora non conosce i dati dell’anno precedente) mette oggi in condizione la banca di adottare strategie difensive nei confronti della piccola impresa.
Non solo, ma ho visto tanti commercialisti alterare inconsapevolmente l’equilibrio finanziario di piccole imprese consigliando di acquistare il tornio rivolgendosi alla banca per chiedere uno scoperto di conto corrente così come di rifornire il magazzino con finanziamenti a medio lungo termine.
In tal modo, manifestando assoluta ignoranza delle regole basiche di gestione della finanza, lo sta portando direttamente al patibolo in quanto le attrezzature si acquistano con finanziamenti a medio lungo termine e il circolante si finanzia con i fidi a breve.
Mai analisi preventive, decisioni coraggiose, sempre a sostenere gli stessi criteri di gestione (che denotano mancanza di aggiornamento), ma soprattutto sempre consultazioni post: appunto quando il paziente è morto.
Mi imbatto spesso in organizzazioni che hanno scarsa cultura finanziaria e si affidano a consulenti (soprattutto commercialisti-fiscalisti) che hanno una professionalità in materia finanziaria generica e poco incline alla gestione dei “momenti difficili” e che spesso sono stati concausa dei default aziendali.
Che spesso hanno consigliato, soprattutto in questi ultimi anni, per incompetenza e talvolta per connivenza (anche i commercialisti hanno un conto in banca), di sottoscrivere piani di rientro “capestro” imposti ai piccoli imprenditori dalle banche.
Ma non dobbiamo meravigliarci , né stigmatizzare i comportamenti di una categoria professionale che stimo, perché i commercialisti-fiscalisti hanno grandissima competenza in materia contabile-amministrativa-fiscale e per quelle skills (e solo per quelle) dovrebbero essere interpellati. Questa riflessione non vuole essere assolutamente un attacco a una categoria di professionisti che, laddove specializzati in finanza aziendale, rappresenta un grande valore aggiunto per l’imprenditore, ma è sicuramente un invito alla categoria ad assumere consapevolezza delle qualificazioni e degli studi, nonché della esperienza, necessarie. Altrimenti si fanno danni.
Il problema è che nel Paese dove tutti siamo allenatori della nazionale di calcio, tutti ritengono utile esprimere in pubblico le loro opinioni. Ma le opinioni sono irrilevanti in campo tecnico e la finanza aziendale è un campo tecnico ben circoscritto. Se io voglio imparare a nuotare non ascolto il parere del farmacista o del macellaio (con tutto il rispetto per queste due professioni).
Nel nostro Paese invece nel corso degli ultimi 40 anni, le aziende si sono rivolte a questi professionisti anche per essere consigliati in merito al medico da interpellare per la tonsillite del figlio.
Una sorta di “tuttologo” che tutto sa (impossibile) e che tutto risolve (impossibile), a cui veniva – e tuttora viene – affidata la responsabilità della intera gestione della azienda e dei relativi problemi personali.
Riconoscere le competenze specializzate: questo è il punto.Ancora oggi la figura del commercialista tuttologo – di colui cioè che svolge un po’ di tutto, dalla tenuta delle contabilità alla predisposizione delle dichiarazioni dei redditi, alla consulenza per il risanamento delle crisi aziendali, passando per la difesa nel contenzioso tributario e lo svolgimento di attività di ausiliario del giudice nelle procedure concorsuali o come consulente tecnico d’ufficio, è destinata ad avere scarse possibilità di sopravvivenza in un sistema che richiede sempre più competenze specialistiche.
Deve essere preparato senza essere un tuttologo. Fare il commercialista non significa fare anche il direttore finanziario o il notaio, o l’ avvocato, o il geometra.
Può fornire alcuni suggerimenti di massima, ma non avventurarsi in sentieri che non gli competono. Presentare i giusti riferimenti professionali ai suoi clienti credo che sia sinonimo di serietà professionale e di continuità di lavoro.